Quello dei gemelli è sempre stato, per diversi motivi, un tema affascinante e intrigante. Il doppio, la somiglianza, la simpateticità sono elementi che storicamente hanno attratto scrittori e registi – da Shakespeare a Chatwin, da Kubrick a Cronenberg per citarne alcuni – che utilizzando personaggi gemelli potevano contare su un forte elemento simbolico per le proprie opere.
Allo stesso modo, queste caratteristiche hanno ispirato anche narrazioni popolari, racconti pittoreschi e teorie complottistiche particolarmente suggestive: una di queste è l’incredibile storia di Johnny Haemmerle, il gemello ritrovato di Elvis Presley. Tupelo, Mississippi. L’8 gennaio 1935 Gladys Smith Presley è in attesa di partorire due gemelli. Lei e suo marito hanno già scelto i nomi: Jesse Garon e Elvis. Tragicamente, il primo dei due nasce morto, 35 minuti prima della venuta al mondo del re del rock’n’roll.
FIN DA PICCOLO
La vicenda segnerà in maniera indelebile Elvis che, fin da piccolo, sarà afflitto dal senso di colpa per essere il figlio sopravvissuto. Alcuni biografi raccontano addirittura che, nel suo periodo più buio, durante interminabili passeggiate per Graceland intrattenesse confuse e deliranti conversazioni con lo spirito del gemello.
Fin qui, nulla di strano. Questa è la storia, reale e documentata, di Jesse Garon e della sua prematura scomparsa. Tuttavia, nel corso degli anni ne è emersa un’altra versione che, se fosse vera, riscriverebbe da capo l’albero genealogico dei Presley.
Tutto inizia negli anni Cinquanta, quando Johnny Haemmerle, un giovane originario del New Jersey, scopre di essere stato adottato. Il padre gli procura il certificato dell’anagrafe e la scoperta è sbalorditiva: il ragazzo, in realtà, risulta essere nato a Tupelo, nel Mississippi, l’8 gennaio 1935: esattamente come Elvis.
Non solo: tre membri della famiglia gli confideranno che il suo vero cognome sarebbe stato proprio Presley! Per tutti è solo una coincidenza, ma non per Johnny, che vivrà sempre nella convinzione di essere il gemello di una leggenda. Purtroppo per lui la parentela non verrà mai verificata legalmente, e la sua storia sarà presto accantonata come una delle tante favole costruite ad arte intorno alla figura di Elvis, come quella secondo cui, stanco della celebrità, abbia inscenato la propria morte per ritirarsi a vita privata.
Ad ogni modo, la figura di Johnny Haemmerle merita un approfondimento specifico: un personaggio tanto intraprendente quanto incompreso, che ha vissuto con entusiasmo alla continua ricerca di una propria dimensione e, soprattutto, nel maniacale desiderio di lasciare ai posteri un segno del proprio passaggio nel mondo.
Innanzitutto, la scoperta di non essere un Haemmerle – questa sì, certificata – lo porterà presto ad assumere lo pseudonimo di «Johnny H». Dopo qualche anno trascorso nell’aeronautica militare e una breve esperienza come poliziotto, Johnny si dedica al culturismo (nella foto), partecipando a diverse esibizioni di bodybuilding. Il suo fisico e la sua dedizione lo porteranno a partecipare al prestigioso concorso di Mister America nel 1968 e a iscriversi alla federazione statunitense di arm wrestler (di cui sarà anche arbitro ufficiale), ossia i professionisti del braccio di ferro. Grazie alla sua spiccata inventiva entrerà presto nella storia di questo sport, anche se non per meriti agonistici. È a lui, infatti, che si deve il brevetto del primo tavolo da gioco «ufficiale» (1969) per le competizioni di braccio di ferro, dotato di tutto il necessario: grip antiscivolo, distanze regolamentari, linee di demarcazione per la posizione dei gomiti e apposite maniglie per sostenersi. Un’invenzione pratica e geniale, ma poco considerata: l’unico riconoscimento pubblico sarà la comparsa di uno dei suoi tavoli da gioco in Over the Top – un film del 1984 con Sylvester Stallone nella parte del protagonista – in cui diverse scene sono ambientate proprio al campionato del mondo di arm wrestling.

CAMBIARE STRADA
Tra la fine degli anni Cinquanta e i Sessanta, Johnny decide di cambiare strada e provare – adottando vari nomi d’arte – la fortuna nel campo della musica, un’altra delle sue grandi passioni. Con una piccola etichetta di New York, la Lordize Records, riuscirà, ad esempio, a incidere alcuni singoli con la sua band, gli Henchmen. Nonostante privilegiasse il doo-wop, un genere molto in voga all’epoca, Johnny non riuscirà mai a dimostrare le sue doti da presunto «fratello d’arte», e il successo non arriverà mai.
Fortunatamente, però, un’altra delle sue idee renderà il fallimento memorabile. In quasi tutte le foto ad oggi reperibili Haemmerle è ritratto – sorridente, muscoloso e con un famigliare ciuffo «a banana» – con una particolarissima chitarra a forma di razzo spaziale, dal design slanciato e con il manico a punta proteso verso il cielo. Una trovata ironica e quanto mai attuale, in tempi in cui gli Stati Uniti si preparavano a sbarcare sulla luna. Ma, soprattutto, un’invenzione che è stata anticipatrice: la prestigiosa chitarra elettrica Gibson Flying V – tipicamente usata da gruppi hard rock e metal come Kiss e Metallica – con la sua forma squadrata e appuntita ricorda, infatti, molto da vicino il curioso esemplare, seppur acustico, ideato da Johnny. Si dice anche che, giustamente, ne fosse gelosissimo, e che sognasse in maniera ricorrente il furto del suo strumento: per questo motivo ne produsse due esemplari, oggi oggetto del desiderio dei collezionisti più fanatici.
Ma non è finita qui: negli anni Settanta la disperata ricerca del successo portò Haemmerle anche sul grande schermo, il più delle volte nel ruolo di semplice comparsa: tra i tanti film a cui ha partecipato è possibile citare Serpico, il capolavoro di Sidney Lumet con Al Pacino nella parte del poliziotto protagonista, La Tigresa, una misteriosa e introvabile pellicola di Glauco del Mar, e Crazy Joe, una sceneggiatura italo-americana dedicata a Joseph Gallo – lo stesso gangster a cui Bob Dylan si ispirò per la scrittura del suo brano Joey – diretta dal grande regista Carlo Lizzani.
Man mano che il successo di Elvis aumentava e il suo, al contrario, non ingranava, il pensiero della parentela di lusso si fece sempre più assillante e morboso. In un’intervista rilasciata a un tabloid inglese, Johnny H racconterà di aver incontrato Presley, nel 1964, e di aver discusso con lui per ore del misterioso e inspiegabile rapporto che li legava (Elvis raramente parlava del fratello); nella stessa intervista racconterà anche di strane apparizioni e di incubi inquietanti – tutti sulla presenza di fratelli gemelli – e di un incontro con l’analista Ann Fisher in cui aveva rievocato l’infanzia a Tupelo prima dell’adozione. Al culmine della sua innocente follia, arriverà addirittura a cambiare nome – pratica relativamente diffusa negli Stati Uniti – diventando una volta per tutte Jesse Garon Presley. Vivrà gli ultimi anni della sua vita esibendosi come musicista a livello locale, arrivando anche a vincere un premio nella città di Albany per un’interpretazione di Kentucky Rain, un celebre brano di – guarda caso – Elvis.
Johnny – o Jesse, come avrebbe voluto lui – è morto nel 2003 a Stanford, una piccola città nello Stato di New York dove risiedeva con la sua famiglia.