Gabriel Zucman, il coordinatore dell’osservatorio fiscale europeo presentato il primo giugno dalla Commissione Europea (Il Manifesto, 2 giugno) ritiene che un’imposta del 15% sui profitti delle grandi multinazionali a livello globale sia «un tasso ridicolmente basso» rispetto a quella che è stata storicamente la norma e a quella che è oggi la norma. A metà degli anni Ottanta, l’aliquota globale dell’imposta sulle società era del 50%. In quarant’anni siamo passati dal 50 al 22%. Oggi, tutti i paesi del G7 (Germania, Canada, Stati Uniti, Francia, Italia, Giappone e Regno Unito) sono già molto al di sopra di questa soglia. La proposta dell’osservatorio è fissare un’aliquota del 25% che garantirebbe entrate per 170 miliardi di euro in più ogni anno solo a livello europeo. Servirebbe a rompere la spirale della concorrenza fiscale che caratterizza ha trasformato l’Ue in un casinò dove i governi irlandesi, olandesi, lussemburghesi o ciprioti permettono alle multinazionali di sfuggire a una tassazione equa.

SU QUESTA BASE è possibile comprendere le critiche che hanno accolto ieri l’intesa al G7 di Londra sulla tassa unica. L’aliquota del 15% , da considerare una soglia minima, non ha soddisfatto chi ha presente la storia recente di un sistema fiscale che arricchisce i vincitori dell’economia del mercato e impone salari pessimi e tasse stratosferiche sulle persone fisiche. Per Oxfam è più vicina alle aliquote vigenti nei paradisi fiscali come Irlanda, Svizzera o Singapore. Andrebbe alzata subito al 25%. «L’accordo non è equo. È un patto fiscale dall’alto verso il basso mediato da soli sette paesi e deciso prima dell’accordo globale atteso per quest’estate. Avvantaggerà in modo schiacciante i paesi ricchi e aumenterà la diseguaglianza. Miliardi di dollari di entrate persi nei paradisi fiscali ogni anno andrebbero ai paesi ricchi dove hanno sede la maggior parte delle grandi multinazionali come Amazon e Pfizer. Il G7 non può aspettarsi che la maggioranza dei paesi del mondo accetti le briciole dalla sua tavola».

L’ACCORDO di cui parla Oxfam è quello che il G20 dovrebbe raggiungere un accordo a luglio. A settembre l’Onu potrebbe iniziare i negoziati per formare un organismo intergovernativo che fissi le regole fiscali per tutti. Rispetto all’accordo di ieri esistono proposte più coraggiose avanzate dai paesi in via di sviluppo. L’ha presentata l’African Tax Administration Forum (Ataf), a nome di 38 paesi africani. Anche il G24 ha chiesto un sistema fiscale più equo.

LA PARTITA IN CORSO è iniziata nel 2019 e coinvolge 140 paesi Ocse che stanno trattando su un pacchetto di riforme fiscali. Oltre alla percentuale dell’aliquota, e il sistema di calcolo, il problema è anche quello della distribuzione delle entrate aggiuntive. La proposta Ocse al momento privilegia i paesi più ricchi dove le multinazionali hanno la loro sede. Questi paesi rappresentano il 45% del Pil lordo globale, anche se hanno solo il 10% della popolazione mondiale. Se redistribuiti solo al loro interno, ai G7 spetterebbe più del 60% delle entrate aggiuntive (altri parlano del 75%). Dunque non solo il piccolo club dei paesi ricchi è responsabile dei due terzi degli abusi fiscali commessi dagli anni Ottanta, ma godrebbe dell’aumento dei proventi. Invece i paesi a basso reddito perderebbero una quota significativa delle loro entrate fiscali e guadagnerebbero pochissimo dalla tassa minima.

IL GRUPPO di pressione di ricercatori e attivisti Tax Justice Network ha proposto il «Minimum Effective Tax Rate», un indice che permetterebbe di distribuire i proventi anche nei paesi dove si svolge l’attività economica reale delle multinazionali senza discriminare tra i paesi in cui hanno sede e quelli dove operano. L’India guadagnerebbe tre volte in più l’importo stimato dall’Ocse, quasi 13 miliardi di dollari. La Cina 32 miliardi di dollari. Il Brasile 10 miliardi di dollari contro 3 miliardi. Gli stessi paesi del G7 guadagnerebbero 250 miliardi di dollari invece di 170.

LIZ NELSON di Tax Justice Network ci permette di capire come la partita in corso non sia solo numerica, ma profondamente politica. «Potenze coloniali come il Regno Unito e l’Olanda – ha detto – sono state determinanti nello sviluppo di un sistema fiscale globale abusivo che oggi deruba i paesi a basso reddito – dove vive la metà della popolazione mondiale – di tasse equivalenti a più della metà dei loro bilanci di salute pubblica. Non dobbiamo dimenticare che furono i proprietari di schiavi ad essere compensati dall’impero quando la schiavitù fu abolita, invece degli schiavi stessi. Oggi non dobbiamo ripetere la storia e non dobbiamo premiare i peggiori autori di abusi fiscali globali».