La pioggia incessante, le insegne al neon, l’oscurità che incombe sulla città – una cappa oscura di inquinamento che avvolge, in basso, le stradine anguste ma anche le cime di grattacieli grigi e impersonali. Il debito di Altered Carbon – la nuova serie sci-fi Netflix creata da Laeta Kalogridis – verso Blade Runner di Ridley Scott, e specialmente la sua Los Angeles, va molto oltre l’omaggio – ne ricalca le fattezze, gli umori, lo stesso rapporto con i personaggi.

Siamo nel 2384, e l’immortalità è ormai un dato di fatto: gli individui possono sopravvivere al loro corpo immagazzinando la memoria, la coscienza, nelle «cortical stacks» – sorta di minuscoli hard disk che vengono collocati alla base del collo dei nuovi corpi, chiamati «sleeves», pelli che come quelle dei serpenti della sigla si possono cambiare potenzialmente all’infinito: distruggere le memorie artificiali è l’unico modo per uccidere. I corpi, conservati sottovuoto, sono diventati merci la cui funzionalità e bellezza è anch’essa relativa al denaro che vi si può investire, ma tra essi e la coscienza non c’è più rispecchiamento – «il vostro corpo non siete voi» viene ripetuto a coloro che si sono appena svegliati dentro una nuova sleeve.

Né ci si può fidare ciecamente dei ricordi, anch’essi beni sul mercato, che si possono acquistare o usare per manipolare le coscienze.
In questa società in cui tutto è ridotto a bene di consumo, solo i più ricchi possono permettersi di clonare se stessi all’infinito per abitare sempre lo stesso corpo perfezionato. Allo stesso modo, solo chi è sfacciatamente ricco può vivere fuori dalla coltre di oscurità che ammanta la città, sotto la luce del sole e al di sopra delle nuvole stesse.

Il protagonista Takeshi Kovacs (Joel Kinnaman), viene ingaggiato proprio da uno di questi multimiliardari: Laurens Bancroft (James Purefoy), intenzionato a scoprire l’identità di chi ha tentato di assassinarlo. Per essere ingaggiato, Kovacks deve però risvegliarsi in una nuova sleeve dopo 250 anni – unico «sopravvissuto» di una rivolta contro il «nuovo ordine mondiale» che nel frattempo ha scritto la propria Storia ufficiale, in cui quelli come lui sono i terroristi sconfitti dalla civiltà.

Kovacs è così a metà tra il replicante da cancellare e il blade runner Rick Deckard, detective con un mistero da svelare in un noir ammantato di fantascienza e dove – centinaia di anni nel futuro – le femme fatale ambigue e pericolose che seducevano Philip Marlowe negli anni Trenta nascondono spesso la chiave del mistero.
Blade Runner, Strange Days, Matrix, e anche l’identità scissa e incerta di un film come Shutter Island di cui Kalogridis era la sceneggiatrice: i riferimenti sono tantissimi. Destinato probabilmente a prendere il posto di Sense8 di Lana e Lilly Wachowsky – cancellata lo scorso giugno – Altered Carbon (tratta da un romanzo di Richard K. Morgan) ricalca piuttosto la formula di un’altra serie Netflix, Stranger Things, assumendo proprio il citazionismo come premessa del racconto.

Ma se il patchwork di Stranger Things si ricompone in una serie originale e «affettuosa» verso il passato – i riferimenti di Altered Carbon non fanno che appesantire una materia che già sconta l’ambizione di condensare tutti i grandi temi etici posti dalla science fiction: l’identità, l’esistenza dell’anima, le intelligenze artificiali – e non ultima la possibilità di ribellarsi a una società totalitaria.