Ogni anno, in Italia, due ragazzi su dieci abbandonano la scuola. Ecco un altro parametro da brividi che però da decenni non rientra tra le priorità dell’agenda politica, di questo o di quel governo. Di centrodestra e di centrosinistra. Eppure, anche se questa volta non lo impone l’Europa, in prospettiva la perdita di capitale umano è devastante. Per la cultura e di riflesso anche per l’economia del nostro paese. Per il futuro, visto che ogni settembre, quando inizia l’anno scolastico, circa 700 mila ragazzi non tornano più tra i banchi di scuola (numero che comprende anche quelli che se lo fanno sono così poco supportati da politiche includenti da non aver poi alcuna possibilità di arrivare alla fine del percorso scolastico). Li bocciano, li rimandano, li perdono per strada, facendo della scuola italiana il principale laboratorio dell’immobilità sociale, e quindi delle disuguaglianze.

Il dato purtroppo è noto: il 17,6% degli studenti lasciano gli studi (anche se nel 2000 eravamo messi peggio, con quasi il 25% degli abbandoni scolastici). Ma c’è poco da consolarsi se confrontiamo i dati Istat relativi al 2012 con il resto dell’Europa. L’Italia, se le cose non dovessero cambiare, è destinata a rimanere tra i paesi più dotati nello «sfornare» giovani sempre più ignoranti e abbandonati a se stessi. La media europea relativa all’abbandono scolastico infatti è del 14,1%, ma il confronto con i paesi di pari sviluppo socio-economico è impietoso: in Germania è 10,5%, in Francia 11,6, nel Regno Unito 13,5%.

La media nostrana però può trarre in inganno, perché l’analisi dei dati disaggregati per territorio racconta una realtà ancora più drammatica, soprattutto nelle regioni meridionali: se al centro nord la dispersione si attesta attorno al 16%, nel sud Italia è oltre il 25%, con punte che in alcune zone sfiorano addirittura il 40% di abbandoni. Un ragazzo, o una ragazza, su quattro: una spirale disastrosa che si avvita inesorabilmente con il dramma della disoccupazione giovanile (al 40,1% nella popolazione tra 15 e 24 anni, dato di agosto). L’Italia, dunque, è ancora lontana dal raggiungimento del cosiddetto «obiettivo Europa» che fissa al 10% la percentuale di abbandono scolastico entro il 2020. Per il sottosegretario all’Istruzione, Marco Rossi Doria, «in questi ultimi anni il tasso di abbandono si è ridotto dal 24 al 18% ma rimane pur sempre alto e occorrono politiche più energiche e più mirate verso le aree dove la dispersione scolastica è più vasta». Eppure Rossi Doria, anche se da lontano, intravede il traguardo del 10%. «Nel decreto sulla scuola che, crisi permettendo, dovrebbe essere convertito in legge c’è la norma che consente l’apertura della scuola nel pomeriggio. Questo aiuterebbe nel contrastare l’abbandono degli alunni».

Il dossier sulla dispersione è stato presentato ieri in Senato dall’onlus Intervita (insieme all’associazione Bruno Trentin della Cgil e alla Fondazione Agnelli) anche per illustrare un progetto pilota attivo in tre regioni italiane (Lombardia, Campania e Sicilia) che coinvolge 2500 ragazzi, 800 insegnanti, 600 mamme e 100 operatori informali che lavorano in prossimità delle scuole – dai commercianti ai centri anziani. Si tratta di un esperimento che permetterà di condividere «sulla piattaforma on-line Frequenza200 le buone pratiche e le proprie esperienze per metterle a sistema ed individuare un modello di intervento efficace, replicabile e sostenibile».

Il progetto triennale prevede l’attività di un centro diurno operativo cinque giorni la settimana per offrire attività educative e di rinforzo per sostenere i ragazzi delle scuole coinvolte che sono in difficoltà. «La ricerca – ha precisato Daniele Checchi, direttore scientifico del progetto – si prefigge di misurare il costo economico e sociale in termini di Pil del fenomeno dell’abbandono scolastico ed il valore delle azioni messe in campo per contrastarlo; grazie ai risultati, sarà possibile fare la stima del valore degli investimenti messi in atto per affrontarlo, incluso quello più arduo e pionieristico del volontariato».

Per Fulvio Fammoni, presidente dell’associazione Bruno Trentin, la dispersione scolastica deve essere uno dei tempi centrali dell’agenda politica nazionale, «quasi tutti i parametri dei formatori nazionali sono al di sotto degli obiettivi europei e sicuramente non possiamo più permetterci così tanti giovani senza un titolo di scuola secondaria, che spesso alimentano le fila di coloro che non studiano né lavorano. Un dramma per le persone e un danno al sistema paese».