Quando arriva, tre quarti d’ora in ritardo, è emozionato e teso, quindi ancora più matteorenzi di sempre. Alla sala della direzione, terzo piano. i fotografi impazziscono, le telecamere si impallano a vicenda, i cronisti si accalcano, come mai è successo, neanche ai tempi di Veltroni. E così Renzi, «quasi-segretario», scortato dal quasi-ex Guglielmo Epifani, dà il primo saggio del suo stile. Rifiuta o sbertuccia le domande «che non hanno attinenza», quelle a cui «ha già risposto in campagna elettorale» – leggasi governo, legge elettorale, dimissioni da sindaco, insomma tutto – quelle che «a volte la qualità della risposta dipende dalla qualità della domanda».

Ma del resto, alle quattro e mezza del pomeriggio è già slittato l’incontro clou della sua giornata – quello con Letta, che avverrà subito dopo – e siamo alla vigilia del suo battesimo con i gruppi parlamentari, che vedrà stasera alle 20 per «un appuntamento di conoscenza», dice, se non fosse che ci sarebbe da discutere della fiducia a Letta. E’ chiaro che questa prima decisione non riserverà grandi sorprese. Lui, spiega non vuole «spingere i gruppi parlamentari a fare cose diverse. I parlamentari hanno diritto di parlare, di discutere, di dialogare», purché sia chiaro che la linea è quella del segretario, «io ascolterò chi dice che è giusto avere 945 parlamentari. Do per scontato che la linea del Pd sulle riforme è dire sì alla riduzione del numero dei parlamentari e a risparmi per un miliardo di euro, non farlo oggi sarebbe contraddire le scelte che hanno fatto 2 milioni e 900mila elettori delle primarie».

Quanto al ritardo alla conferenza stampa, chi lo conosce giura che è normale, è un ritardatario compulsivo per il semplice fatto che vuole fare troppe cose in poco tempo. E che non c’è da immaginare che al piano di sotto stia trattando con qualcuno, la segreteria ce l’aveva in testa da giorni e senza grandi consultazioni. Sarà. Sarà anche che mentre i cronisti aspettano al piano di sotto del palazzo del Nazareno, al colloquio con Gianni Cuperlo, lo sconfitto più sconfitto delle primarie, riceve un no all’offerta – subito, prendere o lasciare – di due posti in segreteria. Alla fine il deputato assicura «un atteggiamento di assoluta collaborazione».

La segreteria

Di fatto mezza sinistra Pd resta all’opposizione e si tiene giusto la scarsa rappresentanza (dei votanti, non degli iscritti, in forza all’ineffabile statuto Pd) che i gazebo gli hanno tributato in assemblea e in direzione. Pippo Civati, l’altro sconfitto e l’altra metà della sinistra Pd, invece ci sta. Renzi offre un posto, e così all’economia (che fu di Stefano Fassina e poi di Matteo Colaninno) a Filippo Taddei, ’assistant professor’ alla John Hopkins University di Bologna.

Fra gli altri 11 componenti ci sono sette donne e quattro uomini. E Renzi si urta subito perché i cronisti non si commuovono alla scelta, c’è anche una donna che aspetta un bambino, ci riprova il «quasi-segretario». La cuperliana Valeria Fedeli invece si complimenta: «un ottimo segnale».
In fatto di segnali, c’è anche una discreta attenzione alle aree interne (Veltroni non accettava che si chiamassero «correnti», Renzi dice di avere sciolto la sua). Ci sono 5 renziani di stretta osservanza (Luca Lotti, già suo uomo-macchina e ora responsabile organizzativo; – Stefano Bonaccini, già bersaniano, agli enti locali; Davide Faraone, siciliano, al welfare e scuola; Francesco Nicodemo, blogger sull’Espresso, napoletano, alla comunicazione; Maria Elena Boschi alle riforme istituzionali), due franceschinian-fassiniane (Federica Mogherini, Europa e politica estera; Chiara Braga all’ambiente); due franceschiniane, di una corrente che sta in maggioranza dalla nascita del Pd (Debora Serracchiani, ormai renzianissima, ma è stata anche civatiana, presidente della regione Friuli, alle infrastrutture; Pina Picierno alla legalità). Poi l’ex bersaniana Alessia Morani alla giustizia, e al lavoro la multiculturale Marianna Madia, veltroniana di nascita poi dalemiana e schierata con i giovani turchi alle ultime parlamentarie. Infine Lorenzo Guerini, già popolare, uomo di polso (di lui si era parlato cme possibile tesoriere) è portavoce della segreteria. A parte Guerrini, che con i suoi 47 anni è un ’senior’, l’età viaggia intorno alla media dei 35 anni. Tutti, o quasi, curricolati e carini. Non è una squadra da urlo, ma non c’è bisogno perché il «capitano», così si è definito Renzi già la notte della vittoria, non ha bisogno di altre punte.

Lo scollamento

Intanto arrivano i dettagli dei dati delle primarie. Renzi ha vinto un po’ ovunque, e soprattutto le roccaforti ex ds gli hanno tributato la maggiore fiducia: in Lombardia, a Sesto San Giovanni, l’ex Stalingrado d’Italia funestata dal ’caso Penati’, ha preso il 61,37% contro il 20,53 di Cuperlo e il 18 di Civati. A Roma, dove Cuperlo aveva vinto il congresso degli iscritti, il sindaco di Firenze ribalta il risultato con il 63 per cento e Cuperlo finisce al terzo posto. È il fenomeno di questo congresso. Lo spiega già l’istituto Cattaneo, con un’analisi del voto che è una fotografia politica perfetta: «Lo scollamento fra iscritti ed elettori è massimo nelle cosiddette regioni rosse». Alle primarie, e cioè fra gli elettori, Renzi ha preso 22,5 punti percentuali in più. Che in Toscana, Emilia-Romagna e Umbria, diventano 30. I ricercatori parlano di una «struttura organizzativa», cioè apparato e militanti, «isolata dalla società».