Rajka è un’antica cittadina dell’Ungheria nordoccidentale al confine con l’Austria e la Svolacchia che reca tracce evidenti del suo passato nei diversi nomi che la designano: Raika, appunto, in slovacco, Rakindrof in croato e Ragendorf in tedesco. Identità a confronto per una popolazione mista di oltre duemila anime che sfidano quotidianamente il concetto stesso di confine.

UN PO’ COME IL FRUTTETO di Martin Piacek (Bratislava, 1972), spazio fisico e simbolico di scambi e connessioni, di lavoro fisico e contemplativo: un territorio eteropico in cui si conservano memorie ma si guarda alle possibilità di un presente che va oltre i limiti temporali attraverso la riflessione, l’azione, la condivisione. La mostra Frutteto.

Il breve archivio del dono (fino al 24 aprile), curata da Lýdia Pribišová nello spazio no-profit AlbumArte a Roma (realizzata con il supporto dello Slovak Art Council, dell’Accademia di Belle Arti di Bratislava e dell’Istituto Slovacco a Roma in collaborazione con Pilot, Bratislava e AlbumArte) – prima personale dell’artista multidisciplinare slovacco in Italia – è il racconto visivo di un’esperienza che è privata e allo stesso tempo pubblica, sociale, economica, ambientale e, naturalmente, artistica.

«PIACEK SI È RIVOLTO ad artisti, curatori, botanici, pedologi, entomologi e geologi per collaborare ed esplorare il carattere e l’habitat di questo luogo remoto e circoscritto. Il materiale che accumula gradualmente gli serve per familiarizzare e comprendere il paesaggio, ma anche come base per un’ulteriore elaborazione artistica», scrive la curatrice.

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«Il potenziale utilitaristico del paesaggio è così integrato da un sincero tentativo di raggiungere un rapporto più olistico con la natura, di armonizzarsi con lo spazio radicale del mondo naturale e di superare il dualismo natura-cultura. In un’epoca caratterizzata da cambiamenti fondamentali del clima e dai flussi migratori, è possibile concepire il frutteto (e il paesaggio in generale) come un luogo di paradiso ed esilio, che riflette all’interno dei suoi confini questioni pressanti come l’Antropocene, la politica dei semi, l’invasività della vegetazione e degli insetti, l’economia estrattiva e la proprietà della terra. Per Martin Piacek, il frutteto è un luogo delimitato di desiderio, un’energia trasformativa, una piattaforma di sviluppo, una fonte di ottimismo e rigenerazione, uno spazio di cura, trasferimento e scambio».

ISPIRANDOSI ALLA STRUTTURA di un negozio di frutta e verdura, nell’installazione Il Breve archivio di un dono (2020), nucleo centrale dell’esposizione (tra le altre opere Rilievo per un frutteto dormiente, Marmi Speculativi e Anetta Mona Chisa (RO/SK/CZ): Testo pittorico su un frutteto), l’artista ha realizzato una sorta di archivio aperto collocando gli oggetti all’interno di cassetti provenienti da un’antica biblioteca. In questo «museo nuovo orientato al futuro», come è lui stesso ad affermare, i noccioli di albicocca contrassegnati da lettere dell’alfabeto diventano, ad esempio, non solo il simbolo di un ciclo naturale produttivo ma lo strumento per creare delle «poesie sperimentali».

ATTRAVERSO LA SUMMA di informazioni, tra cui il falcetto per tagliare l’erba che Piacek ha portato dal Pakistan, il pullulare di larve nel video che inquadra la carcassa ravvicinata di un animale (la morte dell’uno genera la vita dell’altro), il modellino di una piccola mela creata dall’assemblaggio delle fette del frutto essiccato, le patate di cera (alla base della dieta tradizionale slovacca e simbolo di identità nazionale ma, come è noto, importate dal Nuovo Continente alla fine del XVI secolo) e i disegni, l’osservatore può relazionarsi emotivamente con il processo stesso dell’artista.

QUANTO ALL’INVENTARIO redatto dagli scienziati del SNM, il Museo Slovacco di Storia Naturale riguarda le specie vegetali e animali presenti nel frutteto a Rajka ma, come sottolinea Piacek, non trattandosi di uno spazio chiuso ma aperto e transitabile (anche qui la metafora del confine geografico e politico disegnato dagli uomini è esplicita) mostra un ciclo in cui la presenza degli esseri viventi è costantemente variabile. È in questa «fertile» promiscuità che risiede anche la sua forza.