In ogni angolo del pianeta Wimbledon è sinonimo di tennis. Sulla sacra erba del campo centrale più famoso del Pianeta si svolge il torneo che tutti i tennisti sognano di vincere da bimbetti. Nelle propaggini sud-occidentali di Londra si è scritta la storia del gioco e sono entrati nella leggenda fenomeni che rispondono al nome di Martina Navratilova e Roger Federer, Rod Laver e Steffi Graf.

Eppure, soprattutto in Inghilterra, Wimbledon può essere anche sinonimo di football. Nella sua accezione più positiva, incarnata dalla passione dei tifosi, ma anche in quella estremamente negativa, segnata dallo strapotere del dio denaro. Una dicotomia rappresentata dall’AFC Wimbledon e dai Milton Keynes Dons. Il club fondato e gestito dai supporter e la franchigia per antonomasia del calcio inglese. Due mondi opposti germogliati da un seme comune, il vecchio Wimbledon FC.

Il big bang c’è nel 2002, quando le autorità calcistiche d’oltre Manica permisero alla dirigenza del Wimbledon di spostare il club a 53 miglia dal suo luogo di nascita. Da Londra a Milton Keynes, cittadina nata dal nulla nel 1967 e tutta centro servizi e shopping mall. Uno dei luoghi simbolo dell’Inghilterra che si è sbarazzata troppo presto dell’industria per puntare sul terziario infarcito di finanza. Una località di grande ispirazione per uno dei maestri della letteratura britannica contemporanea come J.G. Ballard e che sembra l’ambientazione ideale del suo ultimo libro, Regno a venire.

Il trasferimento di un club da una città a un’altra fu vissuto come un insulto dagli appassionati inglesi, ma anche del resto d’Europa. Non avrebbe stupito nessuno invece negli Usa, dove cambiare casa per ragioni puramente economiche costituisce uno degli elementi fondanti degli sport professionistici. Basti pensare a Underworld, il capolavoro di Don De Lillo, in cui si narra del famoso match di baseball del 1951 tra Brooklyn Dodgers e New York Giants, ora entrambe compagini «migrate» in California.

Passata la prima ondata di indignazione, la stragrande maggioranza dei sostenitori del vecchio Wimbledon non si è arresa e ha deciso di ripartire da zero. Per questo hanno costituito un club tutto loro, rinominato, ovviamente, AFC Wimbledon. Meglio partire dai bassifondi delle leghe dilettantistiche che doversi piegare all’umiliazione di sostenere una squadra sradicata dal suo luogo d’origine e per giunta con un nome diverso, hanno pensato. Il motore di tutta l’iniziativa è stato un trust, per la precisione il Dons Trust. Che ha funzionato bene, eccome. Dopo anni passati nelle leghe professionistiche, dal 2011 l’AFC Wimbledon ha fatto il suo ritorno nella Football League, dove dal 2016 disputa l’equivalente della vecchia terza divisione. Ma soprattutto dal novembre del 2020 è tornato a casa.

Prima di raggiungere la sede dei «veri Dons» ci concediamo una lunga passeggiata nei luoghi più celebri del ricco sobborgo della capitale inglese. In primis a Worple Road, dove una targa ricorda la prima sede dei Championships, poi attraversiamo Wimbledon Park, una vasta macchia di verde punteggiata da magioni dell’alta borghesia londinese per arrivare alla celeberrima Church Road, dove si erge il tempio del tennis mondiale.

Niente visita guidata al centrale, però, perché sono in corso i lavori di maquillage per la celebrazione del suo centesimo compleanno. In compenso una splendida vista dalla sponda meridionale del Tamigi sulla skyline di Londra, dove spiccano i grattacieli della City e dell’area dei docks, ormai la parte più gentrificata della capitale inglese.

Meno scintillante il segmento del quartiere dove si snoda Plough Lane, dove era situato il romantico ma vetusto omonimo impianto abbandonato nel 1991 – un addio genesi delle sfortune del vecchio Wimbledon – e poi sostituito da un complesso residenziale. Il nuovo Plough Lane si trova a soli 250 metri dal vecchio. È un impianto compatto e senza fronzoli, spuntato tra palazzi del ceto medio e con una capienza di 9mila spettatori. Come ci spiegano vari tifosi in fila per una birra al vicino Corner Pin pub, «non ci sembra vero che il sogno di tornare a casa si sia avverato!». Il piacevole senso di novità dettato anche dal fatto che di partite dal vivo ne hanno potute vedere poche, dal momento che la stagione dell’homecoming ha coinciso con i tanti match giocati a porte chiuse a causa della pandemia in atto – il primo con il pubblico è stato solo nel maggio 2021.

Tuttavia la fine delle trentennali peregrinazioni dei Dons ha avuto un costo, non solo monetario. Sono serviti 30 milioni di sterline, in parte raccolti tramite crowd funding e bond sottoscritti dai tifosi, ma per oltre metà messi a disposizione dall’imprenditore del settore della moda Nick Robertson, divenuto socio minoritario quanto «ingombrante» nelle logiche di un trust paritario e orizzontale.

Una concessione ai dettami del «moderno football» è anche il nome dello stadio, formalmente The Cherry Red Records Stadium per ragioni di sponsor – ma per tutti ancora Plough Lane. La nostra impressione è che questi compromessi siano stati accettati per godersi appieno un impianto dove ammiriamo una squadra giovane battere in un match equilibrato il malmesso Crewe Alexandra, i cui tifosi vengono omaggiati con un caloroso applauso quando lo speaker dello stadio annuncia quanti di loro sono presenti al match. Chi meglio dei supporter dell’AFC Wimbledon può riconoscere l’importanza di poter seguire la propria squadra, sia in casa che in trasferta.

Lo stile di gioco spumeggiante del nuovo Wimbledon è l’esatto opposto di quello della compagine pazza e vincente degli anni Ottanta. Il team della «personcina» John Fashanu, attaccante tutto fisico e poca tecnica reso popolare da Teo Teocoli in Mai dire Gol, del mediano dal tackle assassino, poi diventato attore, Vinny Jones, del peperino Dennis Wise, del portierone Dave Beasant e del talentuoso centrocampista Lawrie Sanchez.

Questi ultimi due sono gli eroi della finale di Coppa d’Inghilterra del 1988, il momento più fulgido della storia del Wimbledon. Il primo parò un rigore a John Aldridge, il secondo segnò il goal decisivo per battere il grande Liverpool e dar vita a una delle più gigantesche sorprese della storia della competizione. Altri tempi, che difficilmente torneranno. Ma ora è già un grande successo andare a tifare il Wimbledon a Plough Lane.