La Festa del Cinema di Roma inaugura quest’anno il suo interesse per la realtà virtuale ospitando dal 16 al 18 ottobre il festival VRE20 – Virtual Reality Experience, nella sua declinazione Extended Edition, all’interno della sezione Risonanze.

Tre giornate in cui la realtà virtuale, nei suoi differenti gradi di immersività e interattività, è presente tanto sul territorio romano quanto attraverso le piattaforme digitali, conciliando quella doppia anima che riconosciamo appartenere ormai a quest’epoca incerta. Installazioni di natura tecnologica complessa possono essere esplorate in alcuni luoghi della città mentre, attraverso la piattaforma Veer fruibile da tecnologie più comini come smartphone o computer, i ventidue progetti della Selezione Ufficiale possono essere visti senza limiti di spazio e di tempo e con accesso gratuito. Un ottimo compromesso per ampliare l’accesso alle opere in concorso, di cui la giuria decreterà il Best VR Film e la Best Interactive Experience 2020, senza rinunciare all’opportunità di mostrare collateralmente una selezione dei lavori che richiedono tecnologie più avanzate per la fruizione o set fisici appositamente costruiti.

Da ieri, infatti, il Maxxi ospita sette installazioni vr interattive, frutto della selezione di opere recentemente prodotte tra Asia e Stati Uniti, Europa e Medio Oriente. Tra queste The Key di Celine Tricart, vincitrice lo scorso anno a Venezia del Gran Premio della giuria per la migliore opera immersiva, merita certamente il viaggio al museo. Un lavoro che l’autrice stessa definisce come “story-living” e che incoraggia una strategia d’incontro tra la logica e la grammatica dell’esperienza in prima persona e la dimensione emozionale del racconto, nella consapevolezza che la variabilità dell’atmosfera dell’opera dipenda fortemente dalla soggettività di chi prende parte alla performance. Un’installazione vera e propria che offre una “chiave” interessante per esplorare tanto delle nuove tecnologie quanto la potenza metaforica delle nuove modalità di storytelling. Nella stessa sezione e reduce da numerosi festival importanti, approda al Maxxi anche Ayahuasca: Kosmik Journey, opera immersiva del francese Jan Kounen. Attivo sin dagli anni Novanta come regista di film di finzione e documentari, Kounen traduce la sua conoscenza della cultura sciamanica degli Shipibo dell’Amazzonia peruviana in un’opera che ricrea l’atmosfera psichedelica e spirituale dell’antico rituale curativo.

Un’ulteriore sperimentazione sulla traccia del suo documentario del 2004 D’autres mondes, già concepito come un invito all’esplorazione dell’alterità spalancata dal potere dell’infuso amazzonico. Il cineasta francese è anche presente come co-autore dell’opera -22,7°, presente a Villa Medici insieme ad altri due lavori francesi in concorso. Insieme al musicista di elettronica nomade Molécule e al bravissimo artista digitale specializzato nel sound design Amaury La Burthe, l’opera immersiva è ispirata all’esperienza di ricerca sonora che lo stesso Molécule fece nel 2017 in Groenlandia. Attraverso l’intreccio sapiente tra linguaggio cinematografico e spazializzazione sonora, -22,7° restituisce il paesaggio sonoro dei fiordi e dei ghiacciai artici, traducendo il processo creativo di Molécule in un’esperienza sensoriale di natura concettuale.

Altro luogo fisico della città è Villa Maraini, sede dell’Istituto svizzero, luogo in cui è possibile partecipare alla performance La Comedié Virtuelle di Cie Gilles Jobin in collaborazione con la Comédie de Genève. Un progetto multiutente già presentato in concorso nella recente edizione Expanded di Venezia, volto a esplorare il potenziale sociale del medium. Il pubblico, attraverso degli avatar, potrà visitare il nuovo teatro ginevrino La Comedié grazie alla sua modellizzazione digitale prima ancora che questo venga inaugurato nella sua dimensione fisico architettonica prevista per il prossimo anno. Attraverso la performance in tempo reale ideata dalla compagnia del coreografo, gli spettatori potranno interagire abitando lo spazio e cogliendone così il suo possibile uso artistico.

Accanto a questi progetti, per cui è necessaria la prenotazione, la seconda edizione del VRE promuove anche una riflessione sul medium attraverso una serie di incontri iniziati ieri nella città universitaria della Sapienza e che proseguiranno oggi, a partire dalle 15, via streaming sui canali social del Festival.

Quali siano gli orizzonti d’impiego del medium, il suo potenziale estetico, le implicazioni etiche e i sistemi di gerarchia, su tutti quelli di genere, tanto nella prassi artistica quanto nelle digital humanities, sono temi che sollevano le ambiguità di questa tecnologia. Questioni in pieno spirito del nostro tempo e che, del resto, vengono anche esplorate dalle opere degli artisti e delle artiste.

Terreno di convergenza tra tecnologie informatiche e media visivi, la realtà virtuale è anche un’industria che conta cifre astronomiche e che si manifesta da un lato come strumento di lavoro e dall’altro come macchina complessa, come assemblaggio di dispositivi che organizzano tanto le pratiche artistiche quanto quelle sociali.

Vediamo come la qualità intrinseca del medium di ridurre ai minimi termini l’evidenza dei processi di mediazione sia impiegata sempre più spesso per avere un accesso inedito alla dimensione della testimonianza, per produrre un luogo d’ascolto connesso con il soggetto che racconta. Dal canto suo lo spettatore prende il posto della macchina da presa incorporandone lo sguardo e stimolando così le soglie più porose della propria identità.

Su questo crinale documentaristico procedono alcuni film del concorso che aprono un varco su storie di lotta e di resistenza portate avanti da donne. È il caso del nigeriano Daughters of Chibok di Joel e Kachi Benson, dello statunitense Courage to Question di Megan Sullivan e della serie People2People, che ci catapulta il nelle vite di due donne tra Israele e Palestina.

Altrettanto esplorata è la ricerca estetica sul paesaggio come via d’accesso al patrimonio culturale sedimentato nei territori. È questo il caso del progetto Ma Terre – Mai Terra di Vito Foderà o di Sanctuaries of Silence di Adam Loften e Emmanuel Vaughan-Lee, opere che sfruttano la libertà dell’angolo di osservazione negli ambienti virtuali a 360 gradi. Infine l’uso del medium immersivo impiegato per mettere in movimento gli archivio delle immagini della nostra memoria come avviene in Lockdown 2020: l’Italia invisibile di Omar Rashid e in When we stayed home – Venice di Solid Color. Due lavori attraverso cui osserviamo le città italiane durante le settimane di confinamento recente: le piazze senza turismo, i canali senza barche. Eppure, l’inedita bellezza di queste immagini che finalmente possiamo abitare, non è solo un palcoscenico da cui godere momentaneamente ma anche l’opportunità per una riflessione sui modelli di sviluppo e di organizzazione dei flussi che siamo abituati a considerare normali nei nostri contesti urbani.