È stato un colpo di scena. Pochi giorni fa in Spagna hanno assegnato al thriller storico La Bestia il premio letterario Planeta, molto ambito anche perché dà al vincitore un milione di euro, roba che da queste latitudini non si è mai vista. L’autrice de La Bestia era fino all’altro ieri una misteriosa scrittrice, Carmen Mola, celebre non solo per i suoi noir ambientati a Madrid e la cui protagonista è la volitiva ispettrice Elena Blanco, ma anche perché non si è mai voluta mostrare, e infatti era definita la Elena Ferrante di Spagna. Poiché per assegnare il premio molti concorsi esigono la presenza dell’autore, Carmen Mola si è trovata di fronte a un dilemma. Andare e svelare la propria identità o rinunciare alla succulenta cifra? Ha scelto la prima opzione e, oplà, è caduta la maschera. Dietro lo pseudonimo femminile si nascondevano tre uomini che si chiamano Jorge Dìaz, Agustìn Martìnez e Antonio Mercero.
Una volta erano le donne che, per poter pubblicare o essere più libere, si celavano dietro nomi maschili. Le sorelle Charlotte, Emily e Anne Brönte hanno scritto sotto il nome di Currer, Ellis e Acton Bell. Louisa May Alcott scelse di firmare due opere come A.M Barnard.

IL VERO NOME di George Sand era Amantine Lucile Aurore Dupin, quello di George Elliot rispondeva a Mary Ann Evans, Vernon Lee era in realtà Violet Paget, Karen Blixen pubblicò i Sette racconti gotici con il nome di Isak Dinesen, Katharine Burdekin scelse per alcuni suoi lavori di utopia distopica e antifascista il nome di Murray Constantine.
Se adesso sono gli uomini e nascondersi dietro nomi femminili è il segno che la firma di donna è più appetibile di quella di un maschio, soprattutto se si gioca sul contrasto noir/violenza/ispettrice.
Non è detto che sia una conquista, a volte potrebbe essere una furba usurpazione, un modo per appiccicare al sentire femminile l’immaginario del maschio, una sottile operazione di marketing. In Spagna non tutti sono stati contenti di scoprire la vera identità di Carmen Mola e alcuni librai hanno ritirato La Bestia dalla loro vetrina. Resta comunque il segno che qualcosa è cambiato e che in letteratura essere madre di un romanzo può stimolare più attenzione che essere padre.
Personalmente trovo affascinanti gli pseudonimi. Uscire dall’identità universalmente riconosciuta dà agli scrittori la libertà di sentirsi altro, di sottrarsi al meccanismo dell’ego narrante, di sfuggire all’automatismo che se l’ha scritto quello e quella di sicuro vale o non vale qualcosa. Ci sono nomi finti scelti perché sono più musicali di quelli veri e nom de plume voluti con la convinzione che se l’opera vale cammina da sola.

L’ESSERE INVISIBILI offre un mare di libertà. Esci e nessuno si accorge di te, puoi ascoltare senza destare sospetto i discorsi degli altri, cosa assai feconda per uno scrittore che, sappiatelo, è un ladro di storie. Non essere riconosciuti è, poi, l’esatto contrario di ciò a cui molti oggi aspirano. In un’epoca di ipertrofia autocelebrativa il nascondersi è una conquista, finché non arrivano i soldi.
I tre furbacchioni spagnoli non hanno nulla a che fare con il tormento, per esempio, di un Romain Gary che usò quattro pseudonimi e vinse il secondo premio Goncourt con La vita davanti a sé firmandosi Emile Ajar, la cui vera identità fu scoperta solo dopo il suicidio dello scrittore. I tre moschettieri spagnoli prima hanno usato un comodo nome di donna, poi, appena sentito l’odore dei soldi, hanno buttato alle ortiche il mistero. Probabilmente continueranno a firmarsi Carmen Mola di cui, confesso, non ho mai letto nulla.

mariangela.mianiti@gmail.com