Gli antichi credevano profondamente negli influssi della luna sulle cose della terra. Questa fede era così radicata che le parole connesse ai cicli del mestruo femminile sono direttamente collegate ai mesi, le fasi lunari riconosciute in relazione alle maree, alla ascesa e discesa della linfa nelle piante. Leopardi nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia ripete Gobba a ponente luna crescente, gobba a levante luna calante.

Gli almanacchi popolari tramandano l’usanza di seminare tutto ciò che deve in qualche modo «salire» durante la luna crescente, tutto ciò che deve restare basso a luna calante.

Ed è la prassi generale, tutto quello che è destinato ad andare a fiore, carciofi e girasoli, meglio sia seminato a luna crescente. Tutto ciò che viene consumato prima di andare in seme e le radici e i tuberi, meglio che la luna sia calante. Nella lunga storia delle infinite usanze contadine vigevano altre innumerevoli tradizioni. Erano le ricorrenze di un santo, l’approssimarsi delle festività che tutti i contadini conoscevano a suggerire la successione delle semine. Ogni regione, ogni villaggio aveva le sue. Di certo da un capo all’altro dell’Europa non era pensabile di seminare seguendo lo stesso calendario, troppa la differenza di temperatura e nella stessa Italia le latitudini e non solo – l’orografia, la vicinanza o lontananza dal mare o la prossimità di un lago – possono influire sul microclima locale. La semina come le migrazioni degli animali, il gelo ed il disgelo, le stagioni piovose e quelle asciutte: impensabile non ricorrere ad un calendario locale. Vennero gli almanacchi e tra loro alcuni ebbero più successo, il Barbanera, tra gli altri. E non è mai stata solo una questione di adesione cieca ad un calendario, saper riconoscere l’arrivo di un temporale da precisi riferimenti «bioregionali», riconoscere dall’annerirsi del cielo in prossimità delle cime, significava potere prevedere l’arrivo della pioggia, e allora seminare prima, oppure prevedere il secco significava dovere posticipare la semina.

Rudolf Steiner agli inizi del Novecento, con la sua teorizzazione dell’agricoltura biodinamica, collegò le semine con un calendario complesso, prendeva in considerazione non solo le fasi della luna ma anche le posizioni dei pianeti in una determinata costellazione. Per anni, pur non avendo particolare competenze astronomiche, ho consultato il calendario delle semine di Maria Thun e devo ammettere che non ho fallito una semina. Quel calendario suggerisce di che natura sono i giorni, «di foglie», «di frutti», «di fiori» o «di radice» e ci si regola di conseguenza, oppure ci sono i «giorni no» ed allora non si semina né si effettuano altri lavori. Il calendario stabilisce anche quando sono i periodi per trapianti e messe a dimora. Una cosa che mi aveva colpito era che, per esempio, ad ogni Venerdì Santo, indipendentemente dagli snodi e dalle varie opposizioni di pianeti e luna, era sempre, in quei giorni precedenti la Pasqua, interdetto qualunque lavoro. Una superstizione, un rispetto verso la religione? Non lo so. Sta di fatto che è buona cosa considerare la luna, è buona cosa chiedere ai vecchi contadini della propria zona quando è meglio effettuare determinate operazioni.