A venti anni esatti dalla tragica conclusione della sua vicenda, Ilaria Alpi trova in qualche modo giustizia. Non nelle aule del parlamento o di un tribunale, dove sarebbe stato necessario e doveroso, ma su un palcoscenico teatrale che con questo African requiem torna ad essere tribuna civile per raccontare con precisione a molti quello che accadde allora in Somalia.

Il testo di Stefano Massini, che di questa missione si fa carico, non è nuovo: con altro titolo (e altre interpreti, anche del lignaggio di Lucilla Morlacchi) aveva già girato in qualche occasione. Ora la nuova messinscena, sempre per la regia di Massini, punta però sulla forza e la lucidità attoriale di Isabella Ragonese, che ha all’incirca la stessa età della giornalista quando fu uccisa. È quindi con molta «laicità» che l’attrice siciliana (divenuta star suo malgrado grazie ai successi cinematografici) ci fa avvicinare a lei, al suo mondo, alla sua coscienza civile, alla sua soddisfazione impossibile da celare. Man mano nel racconto ci si avvicina alla verità, e da tutte le ipotesi sugli strani «commerci» che a Mogadiscio si consumavano in nome della «assistenza umanitaria» a un paese dilaniato della guerra, escono come totem maledetti quei fusti che chissà quali veleni contenevano, e che intanto andavano lastricando l’autostrada costruita dallo stato italiano dalla capitale somala verso nord.

Del resto nessun somalo (portati sul videoschermo da Gioele Dix e Giammarco Tognazzi) negava l’esistenza di quella merce sporca, e Ilaria Alpi e Miran Hrovatin si apprestavano con grande sicurezza e tranquillità a rivelare la verità attraverso il Tg3 che li aveva inviati in Africa, quando furono uccisi in un finto incidente su cui l’Italia non ha mai voluto indagare davvero (bruciano ancora le conclusioni della commissione parlamentare di fede e guida berlusconiana che avrebbe dovuto appurare la verità).

African requiem che ha appena debuttato al Manzoni di Calenzano (gestito dal Teatro delle Donne che ne è anche coproduttore assieme alle officine della cultura di Arezzo), si dipana davvero come un canto funebre di grande efficacia e dignità. Le parole di Ilaria Alpi (e la sua vita e la sua sensibilità) trovano modulazione e profondità in Isabella Ragonese, ormai una certezza della scena italiana, anche della più scomoda. E quelle stesse parole trovano un’eco che amplifica il loro spessore nella presenza di un’altra attrice, Luisa Cattaneo. Ma a modulare il parlato, c’è anche la presenza egregia di un ensemble musicale (Luca Baldini, Massimo Ferri, Enrico Zoi) per i quali Enrico Fink ha composto una partitura che senza salti né equivoci riesce a spostarsi da suggestioni africane a timbri e segnali della migliore musica contemporanea. Dando cornice compiuta e onorevole di verità alla tragedia di Alpi e Hrovatin. Sperando che prima o poi ci arrivi anche la giustizia.