La Cina torna a crescere e lo fa al 7,8% nell’ultimo trimestre, secondo i numeri rilasciati dall’Ufficio Nazionale di Statistica. Si tratta di un dato che migliora quello precedente del 7,5% e che attesta potenzialmente la crescita annuale al 7,7%. Si tratterebbe di un dato, se venisse confermato, che smentisce le previsioni pubbliche rilasciate dal Presidente Xi Jinping qualche settimana fa, circa una crescita annuale al 7,5%, frutto di prudenza e necessità di mantenere stabile la ripresa, in modo da favorire le politiche di ristrutturazione economica. I meriti del lieve incremento sono vari: il mini stimolo governativo, l’abbassamento delle tasse che avrebbe ridato fiato e slancio alle aziende produttrici e l’aumento della domanda da parte dei mercati stranieri nei confronti dei prodotti made in China. Provvedimenti interni, dunque, e il consueto traino dell’export, dal quale la Cina cerca con fatica di allontanarsi per sviluppare una domanda interna capace di sviluppare un florido mercato nazionale. Il dato rilasciato dalle autorità cinesi conforta tutti: Pechino, alla ricerca di una crescita meno marcata ma in ogni caso stabile, e i mercati internazionali molto preoccupati per una potenziale crisi dell’economia cinese. I dati a margine del 7,8% confermano la stabilità del Dragone: la produzione industriale è cresciuta del 10,2% rispetto al settembre del 2012, mentre la vendita al dettaglio del 13,3%. Dati previsti dagli economisti nazionali e che dovrebbero consentire una sufficiente tranquillità sulle tanto agognate riforme.
Nel corso del prossimo Plenum del Partito comunista, il terzo, previsto a inizio novembre, verranno infatti stilati i piani per i futuri cambiamenti della politica nazionale, con l’intento di procedere al cambio di paradigma che ha sempre privilegiato la quantità, invece della qualità. Sarà anche l’occasione per mettere mano al processo degli investimenti, con un occhio di riguardo alle amministrazioni locali dove si annida il rischio di debiti pubblici fuori controllo. Pechino sembra convinta di voler evitare spinte statali all’economia, con il chiaro intento di regolare anche al meglio il settore bancario e il sistema dei prestiti, secondo quelli che sono i dettami della politica economica del premier, la Likenomics. Il 7,8 percento rassicura: i cambiamenti potranno avvenire in una fase di crescita e non di «crisi», rendendo meno rischiose le tante tensioni sociali presenti nel paese.