Cercare di piacere a costo di condurre un’esistenza tutt’altro che autentica; provare emozioni, anche indotte artificialmente, col rischio di esplorare zone talmente profonde del proprio Io da non uscirne più; sentire la vergogna di sé al punto da sottomettersi a qualsiasi richiesta pur di rimanere nascosti; riconoscere e lasciarsi andare all’amore quando sembrava che non vi fosse più spazio per alcun sentimento; agire nell’ignoranza per difendere quella che viene arbitrariamente definita la specie d’appartenenza, attaccando ciò che impropriamente viene indicato come il nemico; vendetta e responsabilità, due termini distanti e che però entrano in simbiosi in un mondo nel quale l’odio si manifesta attraverso una massa invisibile.

Sei definizioni che sintetizzano i nuovi episodi di Black Mirror, la serie che nella sua terza stagione emigra dal canale televisivo britannico Channel 4 alla piattaforma Netflix (altre sei puntate sono previste per il 2017). In effetti, sembrava giunto a conclusione con due cicli da tre episodi (ognuno dei quali autoconclusivo) più uno extra uscito a Natale 2014, il racconto del contemporaneo e dei mondi a venire creato da Charlie Brooker. Una narrazione distopica che segue il solco tracciato dai vari Zamjatin, Orwell, Huxley, ma anche da Dick, solo per citare gli autori più popolari.
Un possibile domani che viene mostrato attraverso le visioni inquietanti, se non spaventose, di un’umanità incapace di convivere con una tecnologia sempre più raffinata, con strumenti che portano la moltitudine oltre una soglia ritenuta impensabile. E per paradosso, tanto più avanti ci conduce il cosiddetto progresso (una specie di dogma che si autogiustifica per mezzo della sua stessa esistenza), tanto più indietro veniamo spinti, per ricadere dentro una nozione primitiva e binaria della vita, dove non c’è altra scelta se non vita o morte, piacere o non piacere, amico o nemico.

Se però ci fermassimo a una mera critica del progresso, Black Mirror non sarebbe altro che un affastellarsi di nozioni su alcuni possibili fenomeni portati all’estremo. Come diventerebbe il nostro mondo se, ad esempio, tutta la nostra vita dipendesse dal punteggio incamerato per ogni gesto o parola espressa quando siamo alle prese con amici e sconosciuti (Caduta libera)? Possiamo affidarci a software capaci di sondare ogni meandro della psiche senza patire l’indifferenza che quel programma nutre per ogni umana debolezza (Giochi pericolosi)? Oppure, quale autonomia (persino criminale) abbiamo in un contesto dove anche nella nostra camera siamo potenzialmente spiati attraverso la webcam del computer (Zitto e balla)? E se riuscissimo a estrarre la coscienza da un corpo malato o prossimo alla morte, potremmo vivere le stesse emozioni di un tempo, ma questa volta in eterno (San Junipero, l’episodio più eccentrico di tutta la serie)? E ancora, di fronte a un nemico che ci è tanto simile, come si crea una differenza radicale per giustificare una guerra (Gli uomini e il fuoco)? Infine, nel mondo dei social network quale etica è possibile (Odio universale)?

Domande più o meno originali, sul presente e sul futuro, sul progresso, sulla tecnologia e sull’uso che ne facciamo, ma che riportano continuamente, e sta qui il successo anche di questa terza stagione, alla mutevolezza delle nostre relazioni, al senso che attribuiamo alla vita e, di riflesso, alla morte, alla finitezza, al nostro essere divisi tra desideri e bisogni, amore e odio. Oggi come ieri e forse come domani.