Undici anni or sono il romano Pier Vittorio Aureli e il veneziano Martino Tattara hanno dato vita a un sodalizio architettonico contrassegnato da un termine provocatorio per i tempi nichilisti che attraversiamo: Dogma con sede prima a Rotterdam e ora a Bruxelles. Oggi pomeriggio alle 18:30 alla Casa dell’architettura di Roma dispiegheranno dunque il loro credo insieme con Luca Galofaro, Luca Montuori e Gabriele Mastrigli, quest’ultimo autore della postfazione al libro 11 Projects da poco pubblicato dalla londinese Architectural Association.
Cosa ha di speciale e di provocatorio questo giovane studio? Innanzitutto, la sua ostinazione a perseguire una disciplinata ricerca architettonica, più che l’immediata realizzabilità dei propri progetti; in secondo luogo, lo studio di una connessione profonda tra architettura e città che non può fare a meno di una visione politica del ruolo dell’architetto, richiamandosi ai principi dell’operaismo e agli autori dell’Italian Theory come Negri, Virno o Agamben, tutti ampiamente utilizzati ad esempio nel pamphlet di Aureli, The Project of Autonomy. Politics and Architecture Within and Against Capitalism, Princeton Architectural Press, 2008 (già esaurito).
Ed è essenzialmente questa indifferenza verso l’attività professionale, elevata a principio morale o meglio a dogma, che non può lasciare indifferenti: da un lato, irrita la maggior parte di critici e architetti rassegnati a un ruolo ancillare della professione nella società secondo i quali una teoria dell’architettura può esistere solo se integrata nella costruzione dell’architettura, nel suo saper scendere a compromessi, al di là dunque dei convincimenti propri dei soggetti in campo.
Dall’altro, miete consensi tra le fila degli architetti, specie quelli più giovani, naturalmente attratti dall’intransigenza con cui Dogma porta avanti il proprio lavoro e la perentorietà dei suoi saggi pubblicati in tutte le principali riviste di settore, non solo di architettura, tanto da imporre una vera e propria maniera – caratteristica propria dei veri artisti secondo Baudelaire.
Non basta l’attività didattica esercitata in prestigiose istituzioni come il Berlage Institute di Rotterdam, l’ETH di Zurigo, l’Università di Yale o appunto l’AA di Londra a spiegare le ragioni di questo favore. Se i progetti a scala inusitata come Stop City (scoperto omaggio alla No-Stop City dei fiorentini Archizoom) o A Simple Heart sono costituiti da edifici enormi circondati da ampie aree verdi, figli certamente di quella Bigness koolhaasiana tanto amata da Negri in quanto traduzione architettonica del concetto di moltitudine, è perché è forte la volontà di contrapporsi allo sprawl, vale a dire alla città diffusa o all’anticittà che dir si voglia.
Come ha notato Roberto Damiani su Abitare, «il timore è che, come nel caso delle neoavanguardie, la ’grande dimensione’, sia stata solo un modo per esorcizzare le proprie inquietudini di fronte alla complessità della città contemporanea» e certamente la ricerca ossessiva sulla tipologia della corte chiusa tanto cara ad Aldo Rossi, benché a scala gigantesca, è anche un modo di difendersi dal caos metropolitano e di scomposizione della città stessa.
Dal libro emerge però con chiarezza il carattere oppositivo, per non dire antagonista, di Dogma, che ama opporsi nettamente ai contesti o ai luoghi comuni architettonici che attraversa. Si tratta certamente di un carattere benjaminiano: «Il carattere distruttivo conosce solo una parole d’ordine: creare spazio; una sola attività: far pulizia. Il suo bisogno di aria fresca e di uno spazio libero è più forte di ogni odio… Ha pochi bisogni, e nulla gli importa meno che: sapere cosa subentra al posto di ciò che è stato distrutto. In un primo momento, almeno per un attimo, lo spazio vuoto, il luogo dove stava la cosa, dove la vittima ha vissuto. Si troverà certamente qualcuno che lo usa, senza prendere possesso. Il carattere distruttivo è un segnale. Come un disegno trigonometrico è esposto da tutti i lati al vento, egli è esposto da tutti i lati al pettegolezzo. Proteggerlo da ciò è privo di senso».
Sarà dunque del tutto inutile entrare nelle controversie sollevate da Aureli e Tattara, a partire dai loro scandalosi disegni a matita e fatti a mano oggi che tutto si fa con programmi automatici come autocad o archicad, ma è senz’altro urgente cercare di capire perché i giovani architetti di mezza Europa li hanno eletti a punto di riferimento obbligato di questo scorcio di XXI secolo.