L’archivio dell’Istituto Luce ce lo restituisce la prima volta in un filmato dell’agosto 1947, ventinovenne sottosegretario. Consegna case ai senza tetto di un paese vicino Cassino distrutto dalla guerra. «L’onorevole Andreotti è venuto da Roma…», recita lo speaker. Parla, sorride, stringe mani. «Ha sentito tra le sue quelle mani tremare di sacrosante commozione». Lo speaker esagera. Ma la costruzione di una nuova immagine di politico nell’Italia repubblicana comincia così, tra un rigurgito di retorica clerico-fascista e una curiale bonomia che nel caso di Andreotti è favorita dalla vicinanza al mondo dello spettacolo.

Un mese dopo, ancora un Luce, è all’inaugurazione del Festival del Cinema di Venezia. Il servizio si apre in una tetra stanza del Viminale dove il sottosegretario legge un comunicato dai toni burocratici. Ha un lieve accento ciociaro (negli anni sarà sostituito dall’altro, più pacioso e romano), chino sul foglio non guarda in camera, non fa battute. Più avanti c’è una sua rara immagine con la moglie, anzi la «consorte», giù dell’aereo in abiti estivi all’aeroporto veneziano.

[do action=”citazione”]Sport popolari, star, salotti televisivi e film, la maschera di Giulio Andreotti è stata il volto della Prima Repubblica[/do]

Partite di calcio, corse ciclistiche, inaugurazioni di mostre, saloni della tecnica, prime teatrali e cinematografiche. Dovunque ci sia bella gente, divismo popolare e sportivo, Andreotti c’è. Dei «leader senza corpo» della prima Repubblica, secondo la dizione di Marco Belpoliti, è l’unico capace di mischiarsi con perfetta naturalezza ai corpi autorizzati degli attori, delle celebrità, degli sportivi. La televisione perciò lo troverà già pronto per l’uso. La sua fissità davanti alla telecamera che ci ricorda che la telecamera è venuta da lui, non l’ha cercata. Le battute e l’«arguzia» cardinalizia fanno il resto, ma qui non saprai mai veramente se ridi perché Andreotti fa ridere, per la piaggeria degli intervistatori, per la messinscena della politica.

I palinsesti televisivi, dagli anni ’80 in poi, ci raccontano di come Andreotti sia da subito un pezzo del bestiario, uno dei più pregiati. Parla di uova in una trasmissione del sabato pomeriggio (1981): «Secondo me bisogna utilizzarle con cautela perché sono come la mostarda, ottima come contorno, assolutamente impossibile da usarsi come pietanza perché potrebbe rendere necessaria una lavanda gastrica». Parla di cefalee a Più sani più belli, suo feudo personale. Risponde, il giorno di Natale, ai bambini che gli chiedono: «Che cosa fa per tutti i bambini del mondo che soffrono?» (1989). Condivide i ricordi di scuola con Ira Furstenberg, i ricordi di bambino con chi glielo chiede, da Enzo Biagi a Biscardi.
Piomba nella moltiplicazione dei canali televisivi anni ’80 preceduto dai Luce, dalle imitazioni di Noschese (battuta chiave: «Sono un andreottimista») e Enrico Montesano. Il Maurizio Costanzo Show, teatrale e flaianesco, è il suo palcoscenico preferito. Al Bagaglino gode dell’imitazione del capocomico Oreste Lionello, e a volte si presenta di persona tra il pubblico. Fa 7 milioni e mezzo di spettatori intervistato da Frizzi ai Fatti vostri. L’11 febbraio 1992 risponde, da ministro ad interim delle Partecipazioni Statali, a un interrogazione parlamentare sui costi della nuova scenografia del Tg1, di Gianni Boncompagni: «L’incarico è stato affidato a titolo gratuito (…)».

È ospite del Processo del Lunedì, grande scuola di politica-spettacolo su Raitre. Il giorno che la Roma vince lo scudetto è in diretta e in collegamento con piazza del Popolo. Romano (o quasi). Romanista. Amico di Alberto Sordi. Amico di tutti. Nemico di quasi tutti. Grande ospite in genere, preistorica maschera di una tv che a un certo punto inizierà a cannibalizzare le sue creature, e i politici se li coltiva in seno. «Giocava al calcio da ragazzo?», gli chiedono in una trasmissione sportiva. «Certo, in un vicolo dietro Montecitorio, vicino a un’osteria dove mangiavano i vecchi eroi della Roma. E quanti vetri rotti…».
In tv, l’evocazione delle marachelle d’infanzia è uno dei suoi numeri più graditi. L’evocazione delle marachelle della politica un altro vecchio numero da cardinale, di sicuro successo. Fino a un certo punto. Nel giugno 1995 Un giorno in pretura manda in onda, in diretta, la prima udienza del processo di Palermo. Il processo è seguito «con aggiornamenti quotidiani».

Erano quasi vent’anni fa. E dopo, nei lanci stampa dei palinsesti tv si troveranno ancora cose come: «È possibile restare giovani più a lungo? Se ne parlerà nell’ultima puntata di Porta a Porta. Ospite Giulio Andreotti». Ma un’epoca è finita lì.

Nel 2008, un pomeriggio di domenica ha un malore in diretta. Nero. Pubblicità. Ritrova la forza di salutare e uscire di scena: «Sono contento del fatto che mi avete messo tra due belle ragazze invece che tra due ladroni». Nero.