Prima di Barbiana per don Milani ci fu Calenzano. La scuola popolare che poi, in quel grumo di case sperse sul Monte Giovi, avrebbe preso corpo, fra scandalo e scalpore, qui, alle porte di Firenze, gettava i suoi semi. Siamo nell’immediato dopoguerra. C’è un paese da ricostruire. Ma soprattutto c’è una nuova «classe» da istruire. Fra capitale e lavoro, bisogna scegliere. Schierarsi. Per Lorenzo non ci sono dubbi. Oltre le gerarchie cattoliche e le scomuniche papali. Furono le sue prime «esperienze pastorali». Evangelizzazione significa istruzione. All’inizio fu il verbo, le parole da sapere per non farsi infinocchiare dai padroni.

Per difendersi dai soprusi, in fabbrica e nei campi. Lorenzo arriva a Calenzano nell’ottobre del 1947. Piove a dirotto. In pochi sono ad accogliere il nuovo cappellano. Se ne andrà sette anni dopo, «promosso» priore, che pure sono tuoni e lampi. In questo intervallo burrascoso, dove la «pratica» del collettivo sembra dirci che un altro mondo è possibile, si pone

Il disobbediente di Eugenio Nocciolini (anche regista), protagonista Gabriele Giaffreda coi ragazzi del Laboratorio del Teatro delle Donne di Calenzano che lo produce.

Un tavolo, due sedie, i banchi, una lavagna: la nuova vita è lì. Lorenzo è giovane. Un pedagogo prima che un prete. «In quanto a San Donato – dirà – ho la convinzione che le cariche di esplosivo che ho ammonticchiato in questi anni non smetteranno di scoppiettare per almeno altri 50 sotto il sedere dei miei vincitori». Basato sulle testimonianze di chi quella scuola l’ha frequentata, Il disobbediente alterna le riflessioni alle dinamiche del gruppo. Il cerchio si chiude. La valigia è pronta. L’ombrello aperto. Barbiana lo aspetta. Saranno ancora lacrime e sudore. Mentre Bob Dylan intona The times they are a changin’.