C’è un momento, in questo libro, in cui Wu Ming 1 scopre che il fenomeno che sta indagando gli appartiene più di quello che sembra. Addirittura, quella storia, prende spunto dal romanzo che lui stesso ha scritto insieme alla band di cui fa parte ormai più di venti anni fa e dal quale ha preso il via la sua carriera di romanziere. Sembra la trama di una novella postmoderna, uno di quei giochi a incastro tra narratori e narrati, tra verità e finzione, ma è uno degli assi su cui si dipana La Q di Qomplotto (Alegre, pp. 592, euro 20).

IN EFFETTI, il cospirazionismo rappresentato da Qanon si alimenta di messaggi anonimi a opera di un informatore proprio come la trama di Q, il romanzo che nel 1999 lanciò i Wu Ming (allora si firmavano come Luther Blissett) in cima alle classifiche. Da allora, Wu Ming è un corpo estraneo col quale l’industria culturale si trova costretta, spesso suo malgrado, a fare conti. Organizzare un assalto di tal fatta alle sicure roccaforti del pensiero dominante significa anche cospirare, agire su più piani con strategie sotterranee. Per questo Wu Ming 1 si occupa di cospirazionismo: non ha il semplice scopo di decostruirlo, non si tratta solo di quello. Risalendo alle origini di Qanon, il disegno che ha portato all’assalto di Capitol Hill e che con Trump ha condotto le correnti complottiste fino alle porte della Casa bianca, ne isola e traccia il codice genetico.

Avviene al culmine del testo, quando l’autore sogna di esporre la sua teoria a Belbo e Diotallevi. Si tratta dei due protagonisti de Il Pendolo di Foucault, romanzo di Umberto Eco che è una cassetta degli utensili per chi voglia immergersi nelle fantasie di complotto. Comincia dall’archetipo del vampiro succhiasangue e dell’antisemitismo che viaggia fino all’inizio alla Rivoluzione francese. È in quello sconvolgimento epocale che i reazionari cercano il disegno, la causa di tanti sconvolgimenti. Lo trovano in un altro topos, nel filone che dai Templari arriva agli Illuminati, e poi coinvolge, per il tramite del grande lubrificante di ogni ingranaggio del complotto: ancora gli ebrei, che tutto hanno da guadagnare dalla modernizzazione della società.

LE MENZOGNE ANTISEMITE dal punto di vista narrativo diventano ancora più potenti, pervasive, quando per la prima volta, con il falso storico dei Protocolli dei Savi di Sion, si fabbrica un documento in cui sono gli ebrei stessi a esporre il loro piano di governo del mondo. Per arrivare al Novecento bisogna varcare l’Oceano. Perché è in America che lo sbarco dei Pellegrini ricostruisce un ambiente da caccia alle streghe e riapre, seppure in forme nuove, al puritanesimo che la modernità e le rivoluzioni francesi e russa parevano avere messo all’angolo. Quella caccia alle streghe negli Stati uniti si ripropone anche nel secolo scorso, come dimostra la paranoia anticomunista (e cospirazionista) del maccartismo. Trova nuova linfa all’indomani della sconfitta dei movimenti degli anni Sessanta, quando l’incanto del cambiare il mondo lascia spazio a quello edonista, di cambiare sé stessi.

Di quel corpus di culture post-hippies fatte di New age, un pizzico di occultismo ed esoterismo si gioverà la destra, cosa che negli ultimi anni si inizia a vedere anche da questa parte dell’Atlantico. Ma il cerchio che era cominciato con la paura dei succhiasangue si chiude quando scopriamo che al centro della trama ipertestuale, interattiva e sincretica tessuta online da Qanon a partire dagli States c’è proprio la storia delle élites che rapiscono bambini per estrarre dai loro corpi l’adrenocromo, elisir organico che utilizzano come una droga. E cos’è il caso Bibbiano, che le destre hanno cavalcato insieme al M5S prima di essere costretto ad allearsi col Pd pur di restare al governo, se non il tentativo di portare la matrice del complotto contro i bambini nella provincia italiana?

COME INSEGNA LA STORIA dei «taxi del mare» per migranti le fantasie di complotto sono ormai parte del dibattito politico quotidiano del nostro paese. Nell’era del realismo capitalista, i complotti producono l’effetto magico (e perverso) di incantare. Ma l’idea di voler riportare alla squallida realtà di tutti i giorni chi ha trovato l’appiglio di una narrazione cospirazionista produrrà l’effetto contrario. Ecco: il cospirazionismo è una forma perversa di fascinazione che serve sempre a rafforzare il sistema invece che a combatterlo. Per togliergli spazio occorre escogitare forme radicali e (diremmo noi) materialiste di re-incanto. Servono narrazioni che traccino connessioni in maniera trasparente e orizzontale, che non contengano manipolazioni e non disegnino rapporti di potere. C’è bisogno di raccontare storie, sostiene Wu Ming 1, che incantino e che al tempo stesso mostrino i «punti di sutura», come fecero quei maghi che scelsero di ammaliare il loro pubblico proprio spiegando dove stava il trucco nei loro giochi di prestigio. Blissettianamente, contro le cosiddette fake news è inutile illudersi di ricostruire una qualche verità assoluta. Abbiamo bisogno di «storie complesse, concepite per essere abitate a lungo».