Non è semplice tratteggiare il ricordo di un uomo, di ogni uomo; catturare con le parole non solo i fatti e le date che costituiscono una vita, quanto l’essenza di una persona, le gioie e i dolori privati; i momenti e le qualità in grado di illuminare l’anima di ognuno. Tutto questo è ancora più difficile, quando si tratta di un gigante della storia, una persona che ha mosso una nazione intera verso la giustizia, animando migliaia di persone in ogni parte del mondo. (…)
Per la complessità della sua vita e per l’adorazione che giustamente si è guadagnato, c’è il tentativo di ricordare Nelson Mandela come un’icona, sorridente e serena, distaccata dalle terribili vicende umane di uomini normali. Ma Madiba stesso ha fortemente contestato questo suo ritratto. Ha insistito per condividere con noi i dubbi e le paure, gli errori di calcolo e le vittorie. «Non sono un santo», disse, «a meno che non pensiate che un santo sia un peccatore che continua a provare». (…) Mandela ha mostrato il potere in azione, la forza di rischiare in nome dei nostri ideali. Forse Madiba aveva ragione quando diceva di avere ereditato «una ribellione orgogliosa, un senso ostinato di equità» da suo padre. Certamente ha condiviso con milioni di neri sudafricani la rabbia nata «da mille offese, mille umiliazioni, mille momenti da dimenticare, il desiderio di combattere il sistema che imprigionava la mia gente». Ma come altri primi giganti della Anc, Madiba ha disciplinato la sua rabbia e ha incanalato il desiderio di combattere nell’organizzazione, nella pianificazione, nelle strategie dell’azione, così che gli uomini e le donne potessero seguirlo e ribellarsi per la propria dignità. Ha accettato le conseguenze delle sue azioni, sapendo che ribellarsi alle ingiustizie e ai poteri che le garantiscono, ha un suo prezzo. «Ho combattuto contro la dominazione bianca e contro la dominazione nera», ha detto nel discorso al suo processo nel 1964. «Ho accarezzato l’ideale di una società democratica e libera in cui tutte le persone vivano insieme in armonia e con pari opportunità. È un ideale che spero di vivere e di raggiungere. Ma se necessario, è un ideale per cui sono pronto a morire». (…) C’ è una questione che mi pongo – come uomo e come presidente. Sappiamo che, come il Sud Africa anche gli Stati Uniti, hanno dovuto superare secoli di sottomissione razziale. Si è trattato del sacrificio di innumerevoli persone – conosciuti e meno conosciuti – per vedere l’alba di un nuovo giorno. Michelle e io siamo i beneficiari di quella lotta, ma non possiamo dimenticarci che molto è ancora da fare. (…) Oggi, vediamo ancora i bambini che soffrono la fame e le malattie, le scuole degradate e poche prospettive per il futuro. In tutto il mondo oggi, uomini e donne sono ancora in carcere per le proprie convinzioni politiche e sono tuttora perseguitati per quello che sono o che amano. Anche noi, dobbiamo agire a favore della giustizia. Anche noi dobbiamo agire in nome della pace. Ci sono troppi di noi che felicemente abbracciano l’eredità di Madiba sulla riconciliazione razziale, ma che poi resistono anche a modeste riforme che dovrebbero sfidare la povertà cronica e la crescente disuguaglianza.
Ci sono troppi leader che sostengono la solidarietà con la lotta di Madiba per la libertà, ma non tollerano il dissenso dal loro stesso popolo. E ci sono troppi di noi che stanno in disparte, con un compiacimento confortevole o cinico, quando invece le nostre voci dovrebbero essere ascoltate. (…) E quando la notte diventa buia, quando l’ingiustizia pesa sui nostri cuori, o le nostre migliori intenzioni appaiono fuori dalla nostra portata, pensiamo a Madiba, alle parole che lo confortarono tra le quattro mura di una cella: Non importa quanto sia stretta la porta, Quanto piena di castighi la vita, Io sono il padrone del mio destino: io sono il capitano della mia anima.