Nel suo saggio più dolente, Malattia come metafora, Susan Sontag scrive nell’incipit che parlare del cancro equivale di solito a sovraccaricarlo di «bardature metaforiche» o, al contrario, avvolgerlo di reticenti perifrasi quasi che, in quanto massimo emblema della mortalità, il cancro eccedesse la misura della parola, essendo una presenza così incombente da abbuiare la pagina con la sua grande ombra fino a gonfiarla di sinistra retorica per infine sfiatarla o, se no, così impalpabile, alla lettera ineffabile, da sottrarsi a priori alla parola stessa. Ha voluto viceversa parlare della sua lunga debilitante malattia come un fatto intrinseco alla vita, e...