Il poliziesco contemporaneo tradisce spesso l’influenza che subì dalla letteratura del mistero e da quella gotica: se si accetta che l’inventore della detective fiction così come la conosciamo fu Edgar Allan Poe con il suo Auguste Dupin, allora dovremmo ammettere che il poliziesco contiene un germe mediato dalla tradizione letteraria del romanzo nero. Il nesso si fa più chiaro quando, come accade di frequente, ci si trova ad affrontare atmosfere surreali e crepuscolari o elementi raccapriccianti e situazioni perturbanti che sembrano sfuggire al senso comune per sconfinare nel mondo del sovrannaturale – la storia del genere ne è ricchissima, e include figure fondamentali come Arthur Conan Doyle e Agatha Christie (si pensi all’infernale mastino dei Baskerville o al grammofono spettrale che apre Dieci Piccoli Indiani).

Tra mistero e raziocinio
Poe, però, manteneva, almeno in via teorica, una distinzione sostanziale tra i suoi «racconti del mistero e dell’immaginazione» e quelli che definiva tales of ratiocination, ovvero «racconti del raziocinio», riferendosi alle capacità deduttive del suo detective (e quindi alla logica che domina lo svolgimento della narrazione), in contrasto con gli stati mentali morbosi e alterati che caratterizzano invece il primo gruppo di opere, dove i confini tra realtà e allucinazione si fanno vaghi, permeabili.

Con L’uomo di fumo (traduzione di Piernicola D’Ortona e Maristella Notaristefano, Bompiani, pp. 813, euro 24,00) Steven Price, poeta e scrittore canadese, abbatte questa distinzione (in realtà applicata già dallo stesso Poe con una certa disinvoltura) creando un interessante ibrido di poliziesco classico, gotico e noir, in un notevole esercizio di stile che gioca con i temi e i motivi dei generi incorporati.

Raffinata e deliberatamente decadente, la scrittura di Price (apprezzabile anche in italiano grazie all’ottimo lavoro dei traduttori) abbraccia la tradizione della detective fiction più onirica e umbratile attraverso uno sguardo del tutto contemporaneo, non temendo di sconfinare nei territori dell’incubo e della fantasia, e anzi spingendo coscientemente la narrazione oltre i limiti empirici del giallo canonico.

Già il titolo originale, By Gaslight, è eloquente: le luci a gas menzionate sono prima di tutto un riferimento alla Londra vittoriana splendidamente riprodotta nel romanzo, una città buia e nebbiosa nei cui luridi anfratti si nasconde ogni sorta di degenerazione: fosco microcosmo dell’umanità intera, della quale ospita le più abiette inclinazioni, in un caos di fango, omnibus, sedute spiritiche, gentlemen e tagliagole. E che, sotto la superficie, nasconde un cuore marcio e incredibilmente violento, ritratto da Price in uno dei passaggi più memorabili e riusciti del romanzo con innegabile gusto horror. L’illuminazione a gas dell’originale, che sembra spesso ingrossare le ombre e offuscare i contorni della topografia urbana più che rischiarare il percorso dei protagonisti, richiama alla mente l’allucinato Gaslight, il film di George Cukor del 1944 (tradotto significativamente da noi con Angoscia), nel quale una innocente Ingrid Bergman viene portata sull’orlo della follia dal diabolico marito interpretato da Charles Boyer. Deriva da questa pellicola il verbo anglosassone To gaslight, che indica una subdola opera di manipolazione psicologica ai danni della vittima, la quale inizia a dubitare della propria percezione della realtà, e finalmente impazzisce.

Nel romanzo di Price, questa dinamica si trasforma in una vera e propria strategia narrativa il cui obiettivo è confondere e incuriosire il lettore, costringendolo a rivedere continuamente le proprie intuizioni, e mescolando fatti e personaggi in un complesso ed elegante gioco di suggerimenti, illusioni e piste false. La costruzione dell’intreccio, così come quella dei personaggi, è infatti una sofisticata architettura di scatole cinesi che, grazie alla non-linearità della dimensione temporale e alla studiata allusività del narratore, rimanda a lungo l’agognato dénouement. L’effetto è avvincente, anche grazie al montaggio con cui Price governa le sezioni del romanzo.

Chi è Edward Shade? E perché William Pinkerton, erede del detective più celebre del tempo, Allan Pinkerton, è ossessionato da quest’uomo al punto da dedicare ogni sforzo alla sua cattura? E qual è il ruolo di Adam Foole, commerciante e gentiluomo giunto a Londra a seguito di una lettera che riporta improvvisamente in vita il suo tumultuoso passato? La soluzione dell’enigma passa per un arco di tempo di più di cinquant’anni e una geografia sterminata, che tocca virtualmente ogni angolo del pianeta: dagli Stati Uniti devastati dalla Guerra civile alle miniere di diamanti del Sudafrica, dall’India coloniale all’Italia postunitaria. In questo senso, L’uomo di fumo è davvero un romanzo-mondo, al quale non basta la già fantasmagorica Londra per esaurire le proprie premesse.

Del resto, le geografie in cui si distribuisce l’intreccio funzionano anche come proiezioni delle interiorità angosciate dei protagonisti, scenari tanto reali quanto espressionistici, calpestati da donne e uomini marchiati dai traumi di cui portano segni evidenti sui corpi precocemente invecchiati. Interessante, da questo punto di vista, il dialogo tra Vecchio e Nuovo mondo, incarnati rispettivamente dalla flemma non priva di malinconia dell’ispettore capo di Scotland Yard, John Shore, e dall’energica brutalità a malapena contenuta di Pinkerton, sempre armato, nevrotico, prono alla violenza, e in perenne squilibrio fra la figura del detective e quella dello spregiudicato pioniere statunitense.

Un periodo fondamentale
È forse lui il personaggio più ambiguo e maestoso del romanzo, un uomo votato all’autodistruzione e consacrato a quel concetto di giustizia che troppo spesso si confonde con voraci appetiti di vendetta: una sineddoche incarnata dell’emergente potere americano, destinato a scalzare l’Impero britannico (il romanzo, forse non a caso, si conclude infatti all’alba della Prima guerra mondiale). Come già in From Hell – il notevole graphic novel di Alan Moore e Eddie Campbell, altro oscuro e raffinato ritratto dell’epoca vittoriana – forse il merito principale del romanzo di Price sta nell’indagine di un periodo storico fondamentale per inquadrare la contemporanea società globale, della quale coglie soprattutto le zone grigie, la violenza subliminale, e le dinamiche occulte del potere.