Il futuro di Haram Sharif, i 14 ettari del complesso della Spianata delle moschee di Al Aqsa e della Cupola della Roccia, è uno degli aspetti più dibattuti del cosiddetto “Accordo di Abramo”, la normalizzazione di rapporti siglata ieri alla Casa Bianca da Israele, Emirati e Bahrain. Le interpretazioni dei testi delle intese alimentano ipotesi concrete che dietro certe frasi si celi l’intenzione del governo Netanyahu di modificare, con la benedizione dei suoi partner arabi, lo status della Spianata. A ciò si aggiungono indiscrezioni che vorrebbero Israele e Stati uniti offrire all’Arabia saudita, già custode di Mecca e Medina, il controllo della moschea di Al Aqsa – terzo luogo santo dell’Islam ora affidato al Waqf islamico della Giordania – in cambio dell’avvio di relazioni ufficiali tra Riyadh e Tel Aviv.

 

Secondo una prassi consolidata a Gerusalemme i cristiani pregano al Santo Sepolcro, gli ebrei al Muro del Pianto e i musulmani sulla Spianata. Questa regola potrebbe finire in soffitta – con conseguenze imprevedibili – grazie proprio agli accordi di normalizzazione tra Israele e le monarchie del Golfo. Da tempo si parla di un progetto israeliano per la «spartizione» della Spianata tra ebrei e musulmani, sul modello di quella imposta da Israele a metà degli anni Novanta alla Tomba dei Patriarchi di Hebron. E in Israele si levano più alte che in passato le voci di coloro che invocano la ricostruzione del Tempio ebraico o di una struttura religiosa ebraica proprio sulla Spianata.

 

Gli accordi affermano che tutti i musulmani che verranno in pace a Gerusalemme potranno visitare e pregare alla Moschea di Al Aqsa. Poi aggiungono che i luoghi santi di Gerusalemme saranno aperti ai fedeli di tutte le religioni. Al lettore inesperto ciò potrebbe apparire come una svolta positiva in base alla quale tutti i musulmani nel mondo potranno pregare ad Al Aqsa e che lo status quo di Haram al Sharif sarà mantenuto. Le cose non stanno proprio così. Quelle parole secondo analisti ed esperti significano che potenzialmente qualsiasi punto dei 14 ettari di Haram Sharif che non sia la struttura della moschea di Al Aqsa sarà o potrebbe essere aperto alla preghiera di tutti, compresi gli ebrei. Sarebbe una trasformazione radicale dello status quo e una sfida alla custodia giordana della Spianata di Al Aqsa e dei luoghi santi cristiani di Gerusalemme. Alleata di Israele e di Washington, Amman negli ultimi anni ha mostrato insofferenza nei confronti delle mosse fatte intorno alla Spianata dai governi guidati da Benyamin Netanyahu. E più volte ha ribadito che lo status del terzo luogo santo dell’Islam non si cambia. Una posizione sgradita ai nazionalisti religiosi israeliani – al potere in tutte le loro sfumature politiche ormai da molti anni – che puntano ad estendere la sovranità dello Stato ebraico su tutto il lungo santo e al controllo della Spianata.

 

Dopo l’occupazione di Gerusalemme Est nel 1967 e nei decenni successivi i partiti israeliani, con poche eccezioni, si sono mostrati sostanzialmente disinteressati allo status di Haram Sharif. La questione rientrava nei programmi di gruppetti di fanatici, come i Fedeli del Monte del Tempio. Poi a partire dagli anni 90 il primo mandato da premier di Netanyahu e il continuo rafforzamento, politico e sociale, della destra religiosa sostenuta da organizzazioni evangeliche sioniste statunitensi (e di altri paesi), hanno nutrito l’aspirazione alla «riconquista del Monte del Tempio». La Spianata delle moschee di Gerusalemme è il sito dove, secondo la tradizione ebraica, sorgeva il Tempio. Sono perciò cominciate “visite” regolari sulla Spianata di presunti turisti israeliani – in realtà coloni e ultrà della destra intenzionati a pregare nel sito islamico – autorizzate dal governo Netanyahu. Quest’ultimo da parte sua reclama a gran voce il diritto degli ebrei di pregare sul Monte del Tempio.

 

Nel 2015 Netanyahu chiarì al segretario di stato Usa John Kerry che Israele avrebbe rispettato la vecchia norma: «i musulmani pregano sul Monte del Tempio; i non musulmani visitano il Monte del Tempio». Ma alla Casa Bianca ora c’è Donald Trump che ha concesso tutto a Israele e Netanyahu pensa di avere un’occasione forse irripetibile. Il premier israeliano per la conquista della Spianata delle moschee è pronto a scardinare i rapporti con l’alleata Giordania? «Non si può escludere ma occorre tenere presente che per la monarchia hashemita lo status di custode dei luoghi santi di Gerusalemme è il pilastro della sua legittimità nella regione e nel mondo islamico» spiega al manifesto l’analista giordano Mouin Rabbani. «Avranno però un peso importante le mosse saudite» avverte «la monarchia Saud potrebbe essere tentata dal prendere il controllo di Al Aqsa in cambio del riconoscimento di Israele e del diritto degli ebrei di pregare nella Spianata».