Emma Dante è davvero un’artista in grado di elaborare sempre alcune idee teatrali, all’apparenza estreme, ma poi capaci di sostenere e arricchire di significato anche i testi più impervi. Come nel caso di Eracle di Euripide, tragedia di difficile dissezione e anche per questo quasi mai rappresentata (l’unico a lavorare in profondità sulle tragedie riguardanti Eracle e gli Eraclidi suoi figli era stato in anni recenti Massimo Castri).
Affidato alla Dante, Eracle è stato quest’anno uno dei testi centrali della stagione del Teatro greco di Siracusa, assieme a Edipo a Colono interpretato da Massimo De Francovich.

Nei giorni scorsi poi un pubblico più ampio ha potuto vederlo su Rai 5, e da giovedì 19 sarà ospitato in un’ altra sconvolgente location, il teatro postmoderno nel cuore degli scavi di Pompei (la miniserie «siracusana» prosegue intanto stasera sempre su Rai 5 con Le supplici messo in scena a Siracusa da Moni Ovadia tre anni fa).
Certo la prospettiva in cui è apparsa in tv la tragedia di Eracle era soprattutto quella del primo piano, che sembra una necessità primaria del piccolo schermo (ma se ne potrebbe discutere), molto diversa comunque da quella plenaria e distanziata che si ha dalla cavea al tramonto, e per la quale nasce lo spettacolo e la sua regia.

Eppure, forse proprio per le caratteristiche peculiari della regia di Emma Dante, si finisce per apprezzare anche quei «ravvicinamenti» pericolosi. Perché protagoniste del groppo euripideo di punizioni, vendette, trasformazioni, e soprattutto sentimenti calpestati, sono quasi tutte donne, attrici che interpretano i ruoli femminili e anche quelli maschili, fino al simbolo secolare di forza e virilità che è sempre stato appunto Ercole. Che qui viene ridimensionato nella sua origine divina, sconfitto e perfino massacrato da antichi nemici, e quand’anche «risorto» destinato alla sconfitta. Unici interpreti maschili quelli del coro, vestiti e moventi come prefiche del nostro sud.

La scelta di Emma Dante, che anche nel passo, nelle musiche e nelle cadenze anima di cultura nostra meridionale quel dramma familiar/mitologico, porta alle estreme conseguenze l’estrema lucidità di Euripide, la sua sfiducia (se non miscredenza) in ogni divinità. E fa toccare con occhio e con mano, fino al più totale discredito, il retaggio contraddittorio che permane dietro discorsi, professioni e abbigliamenti di una pretestuosa «modernità», solo apparente.