Il carcere: scatola vergognosa dove nascondere i disgraziati! Disgraziato io, disgraziato tu, disgraziati tutti quelli che si fanno sporcare le dita col colore scuro delle impronte digitali.

Io sono uno di quelli che, tanti anni fa, si è fatto sporcare le dita con le impronte digitali, ero un ragazzino, che maldestramente aveva intrapreso la strada dello sbaglio. Quando entrai nel carcere di Trieste ricordo che mi scontrai con l’aria pesante della tragedia, quello era un periodo di rivolte carcerarie e due giorni prima, la sezione minorile aveva inscenato la protesta incendiando i materassi, e dentro il fuoco e il fumo erano morti tre ragazzi. Di quella volta mi ricordo anche dell’ufficio matricola dove consegnai la vita, ricordo il rumore terrificante del ferro e delle serrature, ricordo l’angoscia nell’abbandono della cella d’isolamento, e ricordo l’avvocato d’ufficio che informato della mia indisponibilità finanziaria mi affiancò nell’interrogatorio davanti al giudice col silenzio assoluto.

Ferro batte ferro e sbarra chiama sbarra: mettete via i deliri e conservateli per stanotte. La chiave ha fame di serrature e i cancelli hanno voglia di musica. Sveglia, delinquenti, che è ora di scontare. Tirate fuori le condanne e togliere le lancette agli orologi… Andare, camminare, e girare sopra il rammarico e sui frammenti di catena!

Il carcere è una scuola dove si insegna la cattiveria, e dove bisogna imparare immediatamente la materia altrimenti rischi di essere stritolato dalla violenza istituzionale e da quella dei compagni più feroci. Io mi salvai con la scrittura, scrivendo e vendendo lettere per gli altri detenuti. Due pacchetti di sigarette per le scritture a madri, mogli, fidanzate, e cinque pacchetti per le richieste al Magistrato perché ne andava della mia incolumità se la risposta era negativa. Ricordo di aver scritto tanto e fumato come mai in vita mia! Ricordo anche, e lo faccio da più di quarant’anni, che io al carcere non devo mezza virgola della mia salvezza, anzi, sono convinto che abbia aumentato le mie capriole e le mie salite.

Popolo delle fedine penali pulite, se non avete il fisico disperato, un carattere disgraziato, la referenza tormentata o il talento criminale no, non pensate alla galera, non vi venga mai in mente di fare i delinquenti,comportatevi bene e andate per la vostra strada. Girando tra quella folla di inutili, capireste che se la paura è una sensazione umana, è umana solo oltre le mura. La paura carceraria, invece, fa parte dell’istinto bestiale, lei ti cattura, ti stravolge, e, con il pretesto di un piccolo errore,ti stritola nell’impasto sbagliato. Dimenticavo, casomai vi dovesse succedere, non vi venga in mente di tirare fori le vostre referenze oneste, perché, là dentro, non conta niente il futuro, figuratevi il passato. Perciò, gente per bene e popolo delle fedine pulite… Ripeto, non fatevi venire la voglia del detenuto, se prima, non vi siete imparentati con la disgrazia!

Le ultime percentuali dicono che il 75 % del popolo carcerario italiano tornerà a delinquere. Una percentuale che continua a non spaventare e allarmare le istituzioni e che viene dalla mancanza del senso carcerario, quello rieducativo e riabilitativo (Art.1 ordinamento penitenziario: Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento degli stessi.), e che invece, proprio per l’imbarbarimento del luogo, produce un rancore che si sfoga verso scelte negative ed episodi di recidività. D’altronde il carcere, per la politica, è sempre stato un motivo impopolare, meglio, molto meglio frequentare il populismo dei giustizialisti, quello senza ragione, fingendo d’ignorare che la mamma degli arrabbiati continuerà a partire storie sbagliate, storie che continueranno a pesare sulla collettività e a soffiare dentro una paura senza guarigione.

Ferro batte ferro e sbarra chiama sbarra…