Il primo obiettivo è quello di infrangere l’indifferenza che circonda le vite di milioni di apolidi. Lo affermano le associazioni che compongono il «Tavolo Apolidia», presentato ieri a Roma, una rete informale, coordinata dall’Alto Commissariato per i Rifugiati, impegnata nella tutela e promozione dei diritti degli apolidi. Contestualmente anche un primo bilancio della campagna delle Nazioni unite, #IBelong, lanciata nel 2014 con l’obiettivo di porre fine, nell’arco di 10 anni, all’apolidia.

GLI APOLIDI, persone a cui nessuno stato riconosce una cittadinanza, sono oltre 12 milioni nel mondo e 400 mila nella sola Unione Europea. In Italia, stando alle stime, questa condizione riguarda fino a 15 mila persone. «Come chi scappa dalla guerra attraversa il mare o il deserto per trovare un riparo noi apolidi passiamo, a volte per decenni, attraverso un deserto esistenziale, alla ricerca del riconoscimento di una cittadinanza» è la testimonianza di Dari Tjupa, economista e oggi apolide riconosciuto. Sono varie le cause che portano all’apolidia. Tra i soggetti più colpiti minoranze etniche, popolazioni nomadi, minori non accompagnati, persone che provengono da stati dissolti da conflitti. Comune a tutti è la condizione di invisibilità: «Sono nato in Italia ma per lo stato non esisto, non posso aver un contratto di lavoro, una casa, un medico curante» racconta Nedzad Husouil, apolide in attesa di riconoscimento.

«GLI STATI, SONO GLI ATTORI che possono intevenire a ridurre l’apolidia» dice Helena Behr, dell’ Unhcr «una delle misure più urgenti è la riforma delle leggi sulla cittadinanza, bisogna evitare che nuovi esseri umani nascano già apolidi, privati dei diritti fondamentali». In questo senso la proposta di legge sullo jus soli era stata accolta favorevolmente dalle Nazioni unite, perchè avrebbe garantito la cittadinanza ai bambini nati da genitori apolidi, evitando la trasmissione generazionale di questo problema.

L’ITALIA È TRA I POCHI PAESI al mondo, in tutto 18, dotati di una procedura di riconoscimento dello status di apolide. Primo passo per poter accedere ai diritti di cittadinanza. «Le vie legali esistono ma presentano gravi lacune» spiega Valentina Calderone, di «A Buon Diritto». Le ultime leggi in materia di immigrazione introdotte con il decreto sicurezza vanno nella direzione opposta alle esigenze di chi combatte la piaga dell’apolidia.

«TOLTO IL PERMESSO di soggiorno umanitario, spesso prima forma di riconoscimento per gli apolidi» afferma Lucia Ghebreghiorges di Save the Children. Tra le iniziative del «Tavolo Apolidia», la piattaforma digitale tavoloapolidia.org che raccoglie le informazioni sul tema. A quattro anni dal lancio di #IBelong, 4 paesi hanno adottato misure a tutela degli apolidi, 9 istituito le procedure per il riconoscimento e 6 hanno intraprese riforme della cittadinanza. L’abolizione di questo fenomeno discriminatorio è tuttavia ancora lontana.