l ddl Zan contro l’omotransfobia ha finito la sua corsa ieri in Senato. Bocciato con una maggioranza più larga dei peggiori pronostici: 154 contro 131 i voti a favore della proposta del leghista Calderoli e di Ignazio La Russa (Fdi) che prevedeva il non passaggio all’esame degli articoli. Per sei mesi le Camere non potranno più affrontare il tema: se ne riparlerà (forse) nella prossima legislatura.

LA DESTRA APPLAUDE IN PIEDI festante, decisivo il voto segreto consentito dalla presidente Elisabetta Casellati di Forza Italia. Sono mancati almeno 16 voti al fronte che, sulla carta, aveva garantito voto contrario alla proposta Calderoli. Guarda caso i senatori di Italia Viva sono proprio 16. Ieri erano presenti solo in 12, assente Renzi che è volato in Arabia Saudita dal principe Mohammed bin Salman per una iniziativa del Future Investment initiative, organismo di cui è membro.

Il voto segreto impedisce una disamina precisa dei voti: ma è chiaro che la maggioranza del Conte 2, che aveva garantito l’ok della Camera al ddl Zan e anche i precedenti passaggi nell’aula del Senato (pur con numeri risicati) è venuta meno. Possibile che ci sia stata qualche defezione anche nel M5S, possibile anche che 3-4 senatori dem abbiano tradito.

Ma è chiaro che l’unico partito che in questi mesi ha cambiato idea sullo Zan (che aveva contribuito a scrivere) è stata Italia Viva. Al punto da muoversi già da martedì in tandem con Lega e centrodestra nella richiesta di un ulteriore rinvio a cui Pd e M5S hanno detto no.

Nel Pd ne sono certi e Francesco Boccia lo dice apertamente: «Una pessima destra che si accompagna ai peggiori trasformisti della storia recente della Repubblica. Per quanto mi riguarda, Italia viva, con questa ennesima spregiudicatezza sui valori, conferma che è diventata come la Lega. Non abbiamo più nulla da dirci».

GUARDA CASO LA REPLICA DI IV è identica a quella delle destre. «L’arroganza di Cinque stelle e Pd ha prodotto una sconfitta incredibile», dice Maria Elena Boschi. «Sconfitta l’arroganza di Letta», gongola Matteo Salvini. Di «arroganza» parlano anche Maurizio Gasparri e Fratelli d’Italia. Una sorta di parola chiave. «Spero solo che di fronte alla propria coscienza quelli di Iv provino un po’ di vergogna», dice Boccia. E del resto, che sia nata una «nuova maggioranza non di sinistra» lo certifica Ignazio La Russa.

Che non ci sia stata alcuna arroganza lo dice Loredana de Petris di Leu, quando ricorda il tormentato iter del ddl al Senato: arrivato a fine 2020 in commissione «è stato bloccato da ogni sorta di pratica ostruzionistica, costringendoci a usare l’unico strumento a disposizione: la richiesta di portarla subito in aula». «Hanno voluto fermare il futuro. Hanno voluto riportare l’Italia indietro», il commento di Enrico Letta. «Oggi hanno vinto loro e i loro inguacchi. Ma il Paese è da un’altra parte. E presto si vedrà».

TRA I DEM CI SONO MALUMORI. Il pallottoliere indicava che i numeri c’erano, la previsione era di spuntarla con 145 voti contro 140 delle destre. «Anche Letta aveva garantito che i numeri c’erano…», si sfoga Valeria Fedeli, che prima chiede le dimissioni di chi ha gestito la pratica (dalla capogruppo Malpezzi a Franco Mirabelli della commissione giustizia), poi fa marcia indietro e si limita a chiedere «una riflessione seria su tutti i passaggi che ci hanno portato a questa sconfitta».

L’ex capogruppo Andrea Marcucci, che aveva sempre fatto sponda alle richiesta dei renziani di cambiare il testo, parla di «strategia fallimentare». C’è anche chi si domanda perché domenica sera Letta abbia aperto ad una trattativa con il centrodestra- dopo mesi in cui aveva detto il contrario – per poi precipitare la conta in aula tre giorni dopo.

GIUSEPPE CONTE PARLA di «un passo indietro del Parlamento rispetto alla maturità del Paese. La marcia dei diritti non si ferma». La senatrice Alessandra Maiorino è delusa dei dem: «Abbiamo lasciato che fossero loro a condurre le cose, hanno più esperienza e più credibilità nel mondo lgbt».

Un’altra senatrice, Elvira Evangelista, mostra le crepe nel Movimento: «C’era in campo la possibilità di modificare qualcosa nel provvedimento e a mio parere si doveva seguire quella strada». Alessandro Zan, padre della legge, accusa chi «per mesi, dopo l’approvazione alla Camera, ha seguito le sirene sovraniste che volevano affossare il ddl. È stato tradito un patto politico», dice rivolto ai renziani.

La Cei sembra soddisfatta: «Era una normativa ambigua: una legge che intende combattere la discriminazione non può e non deve perseguire l’obiettivo con l’intolleranza», dice il presidente Gualtiero Bassetti.