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Il danno in più dell’autonomia differenziata

Coronavirus Il ministro Boccia dovrebbe chiedersi se l’eccellente organizzazione territoriale da lui richiamata non sia almeno una concausa della crisi. Il deficit di posti di rianimazione/terapia intensiva che si va manifestando e la difficoltà di superarlo lo dimostra

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 5 marzo 2020

In una recente intervista (il Dubbio, del 3 marzo) il ministro Francesco Boccia dichiara che «l’organizzazione territoriale della sanità è eccellente e lo sta dimostrando proprio in questa fase storica». Ma dice anche che «alcuni diritti inalienabili devono essere garantiti allo stesso modo in tutto il Paese … I livelli essenziali delle prestazioni previsti dalla riforma del titolo V del 2001 devono essere determinati una volta per tutte».

Afferma, ancora, che il potere nell’emergenza deve spettare allo Stato, e che a tal fine è necessaria una legge di puntuale attuazione. E partecipa al tavolo di coordinamento per la crisi coronavirus.

Un ministro uno e trino: promotore dell’autonomia differenziata, sostenitore del potere dello Stato, coordinatore nell’emergenza. Per alleviare il carico, vogliamo segnalargli che un fondamento sicuro per il potere statale esiste, ed è dato dall’art. 120 della Costituzione: « Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di … pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali».

La norma richiama per l’attuazione una legge, successivamente adottata (131/2003), che disegna il procedimento da seguire, ma prevede anche la possibilità nei casi di assoluta urgenza, di adottare immediatamente i «provvedimenti necessari» (articolo 8).

Il governo ha avuto dal primo istante, ha ora, e avrà in futuro, gli strumenti necessari per gestire la crisi senza lasciare spazio a isterie e voglie di protagonismo locale. Perché ne abbia fatto fin qui l’uso alluvionale e disordinato che bene descrive Ainis su la Repubblica del 3 marzo, è domanda alla quale ognuno può rispondere da sé. Ma di sicuro non sembra che un’altra legge sia preliminarmente necessaria, o utile.

Il ministro dovrebbe chiedersi se l’eccellente organizzazione territoriale da lui richiamata non sia almeno una concausa della crisi. Il deficit di posti di rianimazione/terapia intensiva che si va manifestando e la difficoltà di superarlo lo dimostra.

La sanità è il settore di massima regionalizzazione. La gestione del servizio è nelle mani degli amministratori regionali. E dunque il primo contrasto al virus doveva essere opposto dai sistemi sanitari regionali. La cacofonia delle voci, e l’iniziale voglia di protagonismo, ne hanno sancito il fallimento.

Quindi, la domanda che il ministro Boccia dovrebbe porsi anzitutto è: la proposta di legge-quadro per le autonomie differenziate che intendo portare in consiglio dei ministri avrebbe aiutato – laddove già vigente – ad affrontare la crisi?

Ad esempio, i livelli essenziali delle prestazioni, volti a limitare le diseguaglianze più che a garantire l’eguaglianza, sarebbero utili contro una emergenza che per definizione non si sa quali pressioni e domande porrà? C’è una realtà che la crisi del coronavirus mette in chiara evidenza: ed è che l’Italia delle venti repubblichette non è affatto da preferire all’Italia una e indivisibile. Lo sgangherato Titolo V del 2001 non ha reso un buon servizio al paese, approfondendo faglie e fratture e indebolendo la capacità di fare sistema. E la legge-quadro non contribuirebbe a chiarire dove alzare gli argini contro una frammentazione da evitare.

Le emergenze dimostrano che il fai da te non è soluzione utile. Pensiamo forse che una scuola regionalizzata avrebbe meglio evitato lo spontaneismo localistico che ha contribuito alla confusione e all’allarme sociale, e si chiude per il momento con la chiusura generalizzata decisa fino al 15 marzo? In egual modo, dobbiamo prendere atto che un servizio sanitario genuinamente nazionale è un ricordo o un auspicio, non una realtà.

Per fortuna la crisi coronavirus si è aperta al Nord. Si offre così occasione al Mezzogiorno di mostrare – come sottolinea il ministro Boccia – la propria solidarietà al Nord mettendo a disposizione i propri posti-letto di rianimazione.

Certo, tenendo conto che i tempi del trasporto infermi non sarebbero proprio rapidi. Non perché al Sud siano cialtroni, come direbbe il governatore Fontana. È che l’alta velocità in gran parte del Sud non arriva.

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