Quando Mario Draghi ha fatto risuonare l’espressione “capitale umano” nel suo primo discorso alle camere, si è iniziato a capire che a bivaccare sarebbero stati soprattutto gli scalpitanti manipoli dell’aziendalismo. In un articolo sul Fatto quotidiano di alcuni giorni fa Tomaso Montanari ha enucleato opportunamente il nucleo “classista” del curriculum dello studente per la maturità che il Ministro Bianchi ha ripescato dalla “buona scuola”, sottraendolo all’oblio in cui finora era rimasto relegato.

Gli studenti dovranno certificare le loro attività extrascolastiche di tipo sportivo, musicale, culturale, sociale, che verranno valutate nel punteggio finale. Chiunque capisce che in questo modo le famiglie più abbienti potranno facilmente moltiplicare esperienze che per altre famiglie si riveleranno economicamente gravose, oltre talvolta al di fuori dalle loro abitudini (o dai loro habitus avrebbe detto Bourdieu).

I soggetti già nati in un contesto privilegiato verrebbero perciò premiati per il loro privilegio e non per il loro merito, andando ad aumentare la forbice della diseguaglianza che già si è allargata a dismisura negli ultimi decenni. Dato che Draghi ha stigmatizzato la secessione delle squadre più ricche del campionato di calcio in nome della “meritocrazia” sportiva, forse potrebbe dare un occhio anche a quest’altra situazione.

Certo si può anche immaginare che parrocchie e centri sociali si possano attivare per imbastire attività gratuite o a basso costo certificabili (anche se difficilmente potranno organizzare viaggi studio in Inghilterra o in Canada!). Ma qui interviene un’altra questione fondamentale che si aggiunge a quella di per sé gravissima della sperequazione sociale. E cioè l’ingiunzione precoce alla performance, l’idea che fin dalla prima adolescenza sia necessario accumulare titoli e crediti anche fuori dalla scuola, in una sorta di colonizzazione totalitaria del tempo libero.

L’attestazione di aver svolto queste prestazioni documenterebbe non solo la capacità dei soggetti di saper attivare – appunto – il proprio capitale umano, ma di saperlo anche fare cooperando con gli altri, all’insegna delle esigenze aziendali. Dunque l’attività sportiva o musicale oppure il desiderio di aiutare volontariamente gli altri, diventano una merce, perdendo la loro funzione formativa proprio in quanto liberatoria delle proprie più profonde gratuite inclinazioni, per farsi obbligo competitivo all’insegna del valore di scambio.

I nostri figli finiranno cioè per comparare quantità e qualità delle proprie attività con quella degli amici. Come ogni sistema di valutazione meritocratico, anche questo creerà omologazione rispetto ad un modello produttivistico. Mi chiedo: se un ragazzo avesse voglia di passare il suo tempo libero con la nonna invalida o con l’anziana vicina, potrebbe farsi un’autocertificazione?

E se avesse una vocazione alla meditazione o alla religione e volesse spendere il proprio tempo libero a pregare? O magari ad affinare laicamente la propria interiorità scrivendo poesie non necessariamente destinate alla pubblicazione? E se volesse invece passare il tempo coltivando fiori e piante nel giardino di casa? E se la sua passione creativa fosse quella di fare lunghe passeggiate in campagna parlando con gli uccelli come San Francesco? Dovrebbe necessariamente rinunciarvi per giocare a pallavolo e prendere lezioni di violino?

Il curriculum dello studente sarebbe allora un passo decisivo per andare nella direzione della società americana, in cui negli ultimi decenni l’egualitarismo originario è stato sovvertito da una rivolta delle élite che ha innalzato una barriera con un ceto medio e un proletariato sempre più degradati, a partire anche dal sistema di test che selezionano gli accessi ai vari livelli delle università. I soggetti di queste élite peraltro non sono felici come ha sottolineato Daniel Markovitz, ma sempre più auto-sfruttati e alienati in uno streben competitivo e performativo che inizia fin dall’asilo (come anche Woody Allen ha avuto modo di denunciare in un suo celebre racconto) e si compie in una vita lavorativa che occupa tutti gli spazi dell’esistenza.

Queste persone che ormai si sposano solo fra loro non hanno più alcuna relazione con i concittadini di altra condizione sociale. Come ha sottolineato Christopher Lasch, non ritengono di avere alcuna responsabilità verso i ceti subalterni, perché sanno di essersi meritati i privilegi come dimostrano i propri titoli. Michael Sandel nel suo recente libro La tirannia del merito e in forma narrativa il potente romanzo Ohio di Stephen Markley, hanno ricordato come gli Stati Uniti di oggi siano funestati da un abnorme tasso di mortalità per droga, alcool, suicidio e da una frustrazione di massa sempre più disperata in chi resta escluso. Fermiamoci quindi, prima che sia troppo tardi.