Un taglio netto. Solo un terzo circa degli emendamenti alla riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario potrà essere discusso e votato. Da settecento complessivi piovuti in commissione giustizia alla camera, l’80% dei quali firmati dalla maggioranza, solo 250 potranno essere segnalati dai gruppi. Altrimenti non ci si potrebbe nemmeno più illudere di riuscire a portate entro fine mese il disegno di legge in aula, e così continuare a sperare di approvare le nuove regole sul Consiglio superiore della magistratura in tempo per il rinnovo dell’organo, a luglio. Il taglio degli emendamenti deciso dal presidente della commissione, il 5S Perantoni, provoca immediati malumori in parlamento, dove le proposte della ministra Cartabia si sono fatte attendere per mesi e devono adesso essere discusse in gran fretta.

I rappresentanti del gruppo misto, di Fratelli d’Italia e di Italia viva sollevano il problema in aula, in tarda mattinata, chiedendo al presidente della camera Fico di correggere le decisioni del presidente della commissione. Un’eco della protesta arriva certamente a Marta Cartabia, che alle tre compare davanti alla commissione giustizia del senato in audizione sui tempi del Pnrr. «Nei prossimi giorni, nelle prossime settimane, arriveremo a un punto di sintesi», dice la ministra della giustizia, lasciando intendere che i tempi necessariamente non potranno essere troppo brevi. E aggiunge che la riforma del Csm, pur non essendo menzionata nel Pnrr, è reputata dalla Commissione europea «complementare» e dunque dovrà essere approvata «entro il 2022».

Il tempo utile per le prossime elezioni del Csm, però, è assai più breve e anche se resterà il taglio degli emendamenti ne resteranno in piedi comunque abbastanza da richiedere complicate e lunghe mediazioni, i più delicati sono i sub emendamenti al maxi emendamento che contiene le proposte della ministra. I gruppi spingono in direzioni opposte e sulla carta c’è una maggioranza favorevole a soluzioni drastiche, stravolgenti, come la netta e definitiva separazione delle funzioni e il sorteggio per l’elezione dei togati nel Csm.

Senza un accordo politico che al momento non si vede e se il governo vorrà mantenere la promessa di non mettere la fiducia sul provvedimento, appare improbabile che la riforma possa entrare in vigore in tempo da consentire le modifiche regolamentari e la designazione dei nuovi collegi necessari per rispettare la scadenza delle elezioni di luglio per il Csm. E tornerebbe di attualità l’ipotesi di uno slittamento del voto a settembre, adesso esclusa dalla ministra.
Oggi intanto proprio dal Csm arriverà una mezza bocciatura della riforma proposta dal governo. Il plenum approverà il parere già passato ieri all’unanimità in sesta commissione. Dove accanto a giudizi critici già sentiti – e ribaditi sabato dall’Associazione nazionale magistrati – contro la proposta di legge elettorale, l’organizzazione del nuovo consiglio, il voto degli avvocati nelle valutazioni di professionalità delle toghe, si trova anche un parere critico originale e interessante sulle complesse norme che dovrebbero penalizzare i magistrati che scelgono di candidarsi per un mandato elettorale. La novità per cui la toga che si è schierata non potrà tornare a esercitare funzioni giudiziarie, ma resterà in ruolo, rischia secondo il Csm di «avere un effetto illogicamente premiale per i magistrati che intraprendono una carriera politica». Il cui sbocco più probabile allo stato dei fatti resta quello, assai ambito, dell’ufficio del massimario della Cassazione. In pratica un bel salto di carriera.