L’autunno inizia molto male per Donald Trump, Boris Johnson e Matteo Salvini, i «veri uomini», i leader che più macho non si può, che sembravano irresistibili solo fino a poche settimane fa.

Non è ancora finita l’estate e tutti e tre annaspano, anzi – nel caso di Salvini – sono già fuori dai giochi, meno di un mese dopo aver chiesto, nientemeno,
i «pieni poteri».

Trump, per distrarre gli americani dalla minaccia di una recessione che si annuncia prossima non ha trovato di meglio che concentrare la sua bulimia per Twitter sul ciclone Dorian, insistendo (smentito da tutti i metereologi) che avrebbe toccato anche l’Alabama. Uno streaming di insulti e polemiche sul ciclone che non giova certo al partito repubblicano, il quale mostra ben poco entusiasmo per questo braccio di ferro con le previsioni del tempo.

Il nervosismo di Trump è comprensibile: il suo tasso di gradimento resta inchiodato attorno al 41% (contro un sostanziale 54%). Non solo: nei sondaggi in cui si chiede agli elettori se voterebbero per lui o per un candidato democratico, risulta perdente contro tutti i suoi principali oppositori (Biden, Sanders, Warren) e perfino contro i candidati minori.

Il caso più interessante di autodistruzione politica sembra essere quello di Boris Johnson, diventato primo ministro del Regno Unito appena sei settimane fa. La sua prima iniziativa è stata quella di annunciare che il paese sarebbe uscito dall’Unione europea il 31 ottobre a qualsiasi costo, cioè anche in assenza di un accordo sulle mille questioni aperte, dai diritti degli stranieri residenti in Gran Bretagna alle tariffe doganali.

Un’ipotesi, quella del no-deal, che ha fatto rizzare i capelli in testa a un buon numero di deputati conservatori per le sue potenziali conseguenze catastrofiche sull’economia, spingendo l’ex ministro della giustizia Philip Lee a lasciare platealmente i banchi della maggioranza durante il discorso del primo ministro e a sedersi tra i banchi dell’opposizione, annunciando contemporaneamente le sue dimissioni dal partito conservatore.

È stato solo l’inizio: immediatamente dopo, una maggioranza trasversale di deputati ha votato una legge per obbligare il governo a escludere ogni ipotesi di uscita senza accordo e a chiedere una proroga nelle trattative all’Unione europea. La legge è stata approvata ieri anche dalla Camera dei Lord e quindi sarà promulgata, facendo fallire la strategia di Johnson, che ieri ha dovuto inghiottire persino le dimissioni del fratello Jo, contrario alla sua politica. Ma c’è di più: ora il primo ministro pensa alle elezioni anticipate ma non può chiederle alla Regina senza il consenso di due terzi della Camera dei comuni, consenso che naturalmente non c’è: difficile, quindi, che si voti prima di novembre, anche se in questi giorni ogni sorpresa è possibile.

Per quanto riguarda Salvini, è difficile dire se in queste ore facciano più male le beffe su Twitter e Facebook o l’intervista di ieri al Resto del Carlino di uno dei fondatori della Lega, Bobo Maroni che, con estrema calma, fa le congratulazioni al nuovo ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, e si dice sicuro che saprà ricoprire il suo nuovo ruolo nel modo migliore. Il 9 agosto Salvini reclamava le elezioni oggi si ritrova disoccupato.

Siamo forse al crepuscolo dei cattivi? Lo stile autoritario, sguaiato e arrogante di Trump, Johnson e Salvini, che per semplicità definiremo «cattivismo», piace come sfogo per frustrazioni profonde delle classi medie impoverite, ma si scontra con limiti insuperabili: nessuno di questi tre leader poteva essere veramente cattivo, cioè massacrare gli oppositori, aprire campi di concentramento e invadere i paesi vicini. Il mondo non è pronto per nuovi Hitler o nuovi Pinochet – nonostante il tifo del nero Bolsonaro.

Questi tre politici opportunisti hanno fatto soffrire molta gente ma hanno più confidenza con Twitter che con le mitragliatrici. C’è un’audience per i Capitan Fracassa e loro recitano volentieri la parte, con un certo talento e approfittando della mediocrità dei concorrenti. La loro retorica si nutre di bugie sfrontate perché deve creare continue crisi a partire da problemi reali, come le migrazioni o la Brexit, ma a cui non si può dare soluzione con i tweet, né con i muri o con la «chiusura» dei porti o la sospensione del parlamento.

Nel mondo dei telefoni satellitari e dei droni non si possono affondare i barconi carichi di donne e bambini, né riaprire i lager. Johnson può diventare primo ministro con un golpe parlamentare ma deve ancora dimostrare di poter vincere le elezioni. Quindi non si può essere davvero cattivi ma soltanto cattivisti: straparlare, minacciare sfracelli ma senza cambiare sostanzialmente la situazione. In politica, però, c’è un problema: i parlamenti e le corti costituzionali esistono ancora e i cattivisti che credono di essere Putin o Erdogan si svegliano con il mal di testa.