L’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e dell’università di Siena firmano una ricerca potenzialmente rivoluzionaria, secondo cui il virus Sars-CoV-2 responsabile del Covid circolava in Italia già nell’estate del 2019. La scoperta deriva da campioni di sangue raccolti per screening anti-tumorali su cui i ricercatori dell’istituto hanno effettuato un test sierologico per rilevare la presenza degli anticorpi.

A sorpresa, anticorpi attivi contro il coronavirus sono stati rilevati nell’11,6% dei campioni a partire da quelli di settembre 2019, cioè 111 su 959. «Lo studio dimostra un’inattesa circolazione precoce del Sars-CoV-2 in individui asintomatici in Italia diversi mesi prima che il primo paziente fosse identificato – scrivono gli autori tutti italiani della scoperta – e chiarisce la comparsa e la diffusione della pandemia da Covid-19». In realtà, la ricerca chiarisce ben poco, anzi complicherebbe parecchio le cose. Se il virus circolava in Italia nel 2019, come mai è esploso solo in Cina a dicembre in tutta la sua virulenza? La ricerca, se confermata, obbligherebbe l’intera comunità scientifica a rivedere tutte le conoscenze acquisite finora sull’evoluzione della pandemia.

Gran parte della comunità scientifica però dubita della presunta scoperta. La ricerca è stata pubblicata sull’oscura rivista scientifica Tumori Journal, pubblicata dallo stesso istituto in cui lavorano gli autori della ricerca. E infatti è stata editata senza la consueta peer review, cioè la valutazione da parte di esperti indipendenti che fanno le pulci alle ricerche dei colleghi prima della loro diffusione pubblica.

Lo scetticismo di molti colleghi deriva dalla tecnica usata per rilevare l’infezione da coronavirus. I test basati sugli anticorpi infatti hanno il rischio della “cross-reattività”: se non sono abbastanza specifici, possono rilevare la presenza di anticorpi attivi contro altri coronavirus, come quelli assai diffusi responsabili dei comuni raffreddori. Il sospetto che l’errore nasca da questo fenomeno è forte perché gli autori dello studio hanno utilizzato un test sperimentale fatto in casa e non validato da altri ricercatori.

«La percentuale di persone con anticorpi che riconoscono Sars-CoV-2 – ha spiegato l’immunologa Antonella Viola – è compatibile con la cross-reattività verso altri coronavirus già ampiamente riportata in letteratura. Gli stessi dati sono stati interpretati nel resto del mondo per parlare di immunità data dai virus del raffreddore».

Non è la prima volta che viene avanzata l’ipotesi di una diversa datazione per l’esplosione dell’epidemia da Covid, ricorda su Twitter François Balloux, virologo e genetista allo University College di Londra. «Si è affermato che circolasse ancora prima in Spagna e America Latina ma le prove per tali affermazioni sono molto poco convincenti». Secondo Balloux, l’analisi genetica di migliaia di genomi di Sars-CoV-2 suggerisce che il virus sia comparso tra ottobre e novembre 2019 in Cina.

Dunque, meglio non perdere tempo, «a meno di conferme con evidenze ben più solide, l’ipotesi di una circolazione del virus in Italia in agosto 2019 può essere tranquillamente ignorata».

Secondo il genetista Marco Gerdol dell’università di Trieste, la presunta scoperta a cui non crede nessuno è un sintomo di una crisi più profonda. «Questa storia metta in luce – ha scritto su Facebook Gerdol – quanto sia diventato malato il sistema accademico basato sul publish or perish, le cui criticità stanno emergendo con sempre più forza nell’epoca Covid-19, in cui alcune pratiche editoriali che in tempi “normali” non sarebbero mai state utilizzate vengono applicate con una certa disinvoltura».