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Il corpo redivivo del west

Generi Il nuovo film di Alejandro Iñárritu Revenant – Redivivo è un’epica sofferta di dolore. Leonardo DiCaprio nei panni di Hugo Glass viene attaccato da una tribù, massacrato da un orso, […]

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 16 gennaio 2016

Il nuovo film di Alejandro Iñárritu Revenant – Redivivo è un’epica sofferta di dolore. Leonardo DiCaprio nei panni di Hugo Glass viene attaccato da una tribù, massacrato da un orso, sepolto vivo, immerso in un fiume di acqua gelida. E questi sono solo i primi trenta minuti. Con la mania dell’autentico cinematografo Emmanuel Lubezki avvicina talmente la macchina da presa a DiCaprio che è impossibile non accorgersi che è proprio la star hollywoodiana a trascinarsi in quell’ambiente ostile. Recitare la parte di uno che si getta nell’acqua ghiacciata e gettarsi nell’ acqua ghiacciata è la stessa cosa; in questo modo, la sua performance diventa tanto atletica e stoica quanto emotiva. Iñárritu è un regista tattile: si sentono il freddo, il dolore e il corpo straziato di DiCaprio come con Gesù ne La Passione del Cristo di Mel Gibson. Se vincerà l’Oscar, Leo avrà pagato con sangue vero. O quasi vero. Una volta, John Ford disse: «La cosa più interessante ed eccitante del mondo è il viso umano!». Dal viso spento del presidente Lincoln allo sguardo devastato di Ethan Hunt ne I Sentieri Selvaggi, le facce rivestono un’importanza simile al paesaggio inospitale. E poi nell’ altro West di Sergio Leone, grandi e sporche opere liriche le cui arie sono cantate da occhi obliqui in primo piano, la faccia umana e il paesaggio che la circonda diventano un tutt’uno.

La bellezza rocciosa di John Wayne è una Monument Valley in carne ed ossa e i buoni, brutti e cattivi di Leone hanno la pelle del colore della terra e della sabbia. All’inizio del film, un panorama tipico del West – una città fantasma – viene obliterato dal viso sfregiato e cadaverico di Al Mulock, l’attore canadese che poi, durante le riprese di C’era una Volta il West, si suicida con addosso ancora il costume da scena; e il regista è costretto ad inseguire l’ambulanza per riprenderselo. Quando i Western cominciano ad essere ripristinati alla fine degli anni sessanta, c’è uno spostamento dal viso al corpo nella sua totalità. Il Mucchio Selvaggio (1969) di Sam Peckinpah si ribella contro la vecchiaia con violenza. Il sangue che schizza dai corpi dei vecchi cowboy è paradossalmente un segno di vitalità. Il massacro finale è una gioia orgasmica, i corpi vengono distrutti, strappati dalle pallottole in una fantasia di liberazione. L’anno dopo, Soldato Blu di Ralph Nelson fa vedere un altro massacro ma questa volta è la cavalleria iconica di Ford ad obliterare i paesi pacifici dei popoli indigeni richiamando My Lai in Vietnam. Il marketing che ne esalta la violenza: ‘il film più selvaggio mai visto!’ ed il poster che mostra una squaw, nuda e legata, ne compromettono la visione politica. I corpi sono la prova degli atti criminali che fondarono il West ma lo sguardo del film è lascivo. Un miscuglio di fascino e ribrezzo simile si trova in L’Uomo Chiamato Cavallo dove il corpo di un aristocratico inglese (Richard Harris) viene sottomesso ad un rito di iniziazione sadomasochistico estremo. Balla coi Lupi diretto da Eli Roth! Revenant lega la sofferenza di Glass al destino tragico dei popoli delle «Prime Nazioni» alle quali appartengono la moglie e il figlio. Glass viaggia tra i massacri del passato, quelli in corso e, percepiamo, futuri. Il suo corpo bianco sporco di sangue e fango e livido per il freddo viene offerto come espiazione per il peccato originario degli Stati Uniti.

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