Nel Novembre scorso Kathleen Stock, filosofa dell’Università di Sussex, ha dato le sue dimissioni a causa di una dura contestazione nei suoi confronti da parte degli studenti della sua Università e di molti accademici inglesi, da lei definita “ostracismo medievale”. Stock, denunciata come trans-fobica, è legata alla LGB-Alliance che ritiene la confusione tra “sesso biologico” e “genere” una minaccia contro il diritto di gay, lesbiche e bisessuali di amare persone dello stesso sesso.

Giorni fa la cantante inglese Adele, vincitrice nei Brit-Awards, per la prima volta assegnati senza distinzione tra cantanti donne e uomini, ha dichiarato durante la premiazione: “Capisco perché hanno cambiato il nome del premio, ma amo davvero essere una donna, amo davvero essere un’artista donna”. Anche lei è stata contestata di “transfobia femminista”.

Sottende questo conflitto, diffuso in tutto il mondo occidentale, la questione del rapporto con il nostro corpo. Il fraintendimento di questo rapporto è chiaro nel l’affermazione finale dell’ intervento su The Guardian di una donna transessuale che ha sottoposto il suo corpo a varie manipolazioni: “Se il mio corpo è un vascello io sono il suo capitano”. Questa è una concezione che, secondo quanto ha detto, nasce come reazione al fatto che il nostro corpo è “arbitrario”.

Non si può scegliere il colore dei nostri occhi, dei nostri cappelli, della nostra pelle. Se il nostro Sé e in disaccordo con il nostro corpo possiamo modificare quest’ultimo superficialmente o in modo che “cambia la vita”.
Possiamo cambiare il colore dei nostri cappelli e anche dei nostri occhi (con una lente colorata). Michael Jackson provò a cambiare il colore della sua pelle. Si cambia seno, labbra, orecchie. Non è la stessa cosa di un trapianto/cambiamento d’organo. Non tanto per la solita priorità assegnata alla sopravvivenza materiale, ma, piuttosto, perché riguarda la nostra apparenza, il nostro “aspetto”.
Siamo sicuri che quando modifichiamo il nostro corpo è il nostro Sé che lo esige e non lo sguardo degli altri (sia che lo compiaciamo sia che lo combattiamo)?

L’idea poi che siamo padroni del nostro corpo e lo manipoliamo come ci pare e piace (diversa dal controllo mentale, ugualmente mistificante, su di esso) tradisce l’interiorità, perché ignora che l’intima sensazione/concezione di sé ha le sue radici nelle relazioni corporee. Queste radici sono sensuali, erotiche. Quando una persona è in disaccordo col suo corpo sul piano dell’identità sessuale deve fare i conti con il fatto che sul piano erotico ciò è una limitazione seria. Se le donne (eterosessuali e omosessuali) non si identificano con le donne transessuali, non è perché sono “femministe”, ma perché per loro avere un corpo di donna e non di un uomo non è cosa di poco conto. Dal loro punto di vista, che non si vede come possa non essere condiviso, il loro corpo sessuato, erotico è fondamentale (indipendentemente dal suo aspetto). E non riescono a riconoscerlo in un corpo di uomo modificato che non sarà mai il loro, ma un sembiante.

Viviamo in un mondo che diffida della complessità e ama le semplificazioni. Ė necessario resistergli. Il corpo biologico non basta per avere un’identità sessuale e mai si può imporre a un essere umano sentirsi in un modo che non riconosce suo. La castrazione psichica è la cosa più terribile che ci può accadere. Inversamente, l’apparato psichico non può costruire un corpo erotico.

Affrontare la contraddizione tra il sesso biologico e il sesso psichico ricorrendo al “genere” (il sesso come comportamento sociale, l’incubo di un mondo stereotipizzato) è peggio che andar di notte. Tra una donna e una donna transessuale la differenza è ineliminabile, se non si vuole aggredire la sessualità femminile. Si vada oltre la finzione e l’ipocrisia. L’inclusione vera è l’accettazione dell’altro che non nega la sua differenza.