Sono nato in Calabria, vivo a Roma da quando avevo 18 anni. Nel corso della mia adolescenza ho apprerg che «tutte le vie portano a Roma, eccetto le vie di mezzo», e ho agito di conseguenza.
Il corpo della Calabria non lo vedo con i miei occhi da parecchi anni. Se non nei sogni, con la periodicità di quei sogni ricorrenti di cui tutti abbiamo esperienza, e che sono, come le passioni, senza rimedio e senza alternativa.
Ma nei giorni scorsi l’ho rivisto con gli occhi della fotografia, in un libro socialmente utile: Cine Tour Calabria. «Guida alla Calabria cinematografica. A Cinematographic Guide to Calabria» (libro illustrato, libro bilingue), di Maurizio Paparazzo e Giovanni Scarfò – con la collaborazione di Ulderico Nisticò e Daniela Rabia, edito da Rubbettino.
Questo libro individua le centinaia di film girati in Calabria dall’inizio del cinema fino ad oggi, li descrive con schede , li analizza con saggi, e li prolunga nel futuro possibile attraverso otto itinerari cinematografici e turistici che legano passato e presente, volendo essere non soltanto un’opera storiografica di «recupero e riordino dei film girati»ma anche «un invito ai cineasti a scoprire nuove location» e «un sentiero tracciato per tutti coloro che hanno voglia di conoscere, visitare, esplorare questa terra».
Il libro non contiene nessun fotogramma dei film fatti, e dunque non restituisce nessuna immagine del corpo della Calabria com’era. Contiene però molte fotografie presenti documentarie – stavo per dire: molte scenografie in potenza – dei film fattibili.
Si vedrà, vedremo nei prossimi decenni se i cineasti saranno capaci ancora di fecondare il corpo della Calabria, o non sapranno bene che farne – come succede tragicomicamente ai ragazzini col corpo di una bella donna.
Certo è che uno dei contributi maggiori dell’arte cinematografica al racconto del mondo è stato proprio questo finora: la messa in immagine e la coltivazione nell’immaginario dell’intero corpo del mondo. «Per me la cosa più bella del cinema – ha testimoniato nella propria autobiografia uno dei giganti del cinema degli anni Venti del Novecento, nato e cresciuto sui palcoscenici teatrali, Buster Keaton – era che aggirava automaticamente le limitazioni fisiche del teatro. La macchina da presa non aveva limiti. Il mondo intero era il suo palcoscenico.»

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