Nel 2018, il governo canadese ha avviato una riforma del sistema del sistema sanitario mirata ad abbassare il prezzo delle medicine. Le società farmaceutiche si sono opposte alla proposta che avrebbe ridotto la loro quota di profitti, e questo era prevedibile. Era meno prevedibile che a protestare contro la riforma fosse anche una coalizione di ventotto associazioni di pazienti canadesi i quali, invece, dall’abbassamento dei prezzi dei farmaci avrebbero tutto da guadagnare.
L’apparente masochismo ha un nome ben preciso: conflitto di interessi. La gran parte delle associazioni di pazienti sono finanziate almeno in parte dalle stesse società farmaceutiche. Negli anni – anche grazie al protagonismo di molte di loro – le aziende che vendono farmaci e dispositivi medici hanno spesso «usato» le associazioni di pazienti per difendere i loro interessi. E questo legame esiste in tutto il mondo, Italia compresa.

IL SISTEMA SANITARIO canadese, infatti, non è certo il più corrotto del mondo. Ma ha il pregio di essere molto trasparente e fornire numerose informazioni a chi vuole analizzarlo. Per esempio, il ministero della sanità pubblica i pareri che i gruppi di pazienti elargiscono alle agenzie pubbliche per raccomandare o meno la copertura di un farmaco. A guidare tali valutazioni dovrebbe essere innanzitutto l’efficacia delle medicine, proprio nell’interesse dei malati.
Joel Lexchin, professore all’università di Toronto dove studia i sistemi sanitari di tutto il mondo, ha analizzato tali valutazioni e ha pubblicato i risultati sulla rivista Public Library of Science. Lexchin ha rilevato un’altissima percentuale di conflitti di interesse. L’86% delle valutazioni, infatti, provengono da associazioni di pazienti che sono finanziate dalla stessa casa farmaceutica che produce il rimedio sotto esame, e non stupisce che i pareri siano positivi nel 90% dei casi. A causa del conflitto di interesse, in molti casi le associazioni di pazienti si rivelano efficaci strumenti di lobbying a favore delle industrie farmaceutiche.
La storia delle associazioni di pazienti, in realtà, è una vicenda assai nobile e in molti casi continua ad esserlo. Grazie a queste, i pazienti hanno conquistato un ruolo primario nel sistema sanitario di cui sono protagonisti volenti o nolenti. Nel dopoguerra, e in particolar modo negli anni ’70, anche l’istituzione medica è stata investita in tutto il mondo da una richiesta di democrazia che metteva al centro i diritti della persona malata.

IN ITALIA, nel 1976 nacque il movimento «Medicina democratica», e nel 1980 il «Tribunale per i diritti del malato», la cui prima sessione si intitolava «Da malato a cittadino: contro l’emarginazione, per la gestione popolare delle strutture sanitarie». Come ha scritto il bioeticista Sandro Spinsanti, «il linguaggio adottato era quello della ‘lotta al sistema’, proprio di quella stagione storica, con il malato in funzione di soggetto da emancipare».
Alla fine degli anni ’80, i movimenti dei malati assunsero rilevanza mondiale soprattutto grazie alle battaglie statunitensi per l’accesso alle cure nella lotta all’Aids. Come spiega al Washington Post Diana Zuckerman, presidente dell’associazione no-profit National Center for Health Research, quella vicenda segnò un salto di qualità. Due donne affette da cancro al seno si presentarono all’associazione, chiedendole come raggiungere la stessa efficacia dei malati di Aids. «Ancora ricordo quella conversazione. All’epoca non esistevano donne malate alla ricerca di soldi o altro».

LE PRIME organizzazioni di pazienti fornivano assistenza e informazione ai malati e alle loro famiglie. Oggi sono partner riconosciuti dei sistemi sanitari. Vengono consultati dalle istituzioni prima dell’autorizzazione di un farmaco. In alcuni casi, partecipano alla progettazione dell’attività di ricerca, e persino al suo finanziamento. Succede, ad esempio, nel caso delle malattie rare, che fanno meno gola alle imprese per l’esiguità del mercato potenziale. Secondo Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttrice dell’Osservatorio Malattie Rare, almeno in Italia le associazioni di pazienti con queste patologie fanno un lavoro meritorio. «Le associazioni hanno un ruolo sempre più importante nell’indicare gli endpoint (cioè i parametri su cui misurare l’efficacia di un farmaco, ndr). Inoltre, forniscono e raccolgono informazioni sui malati. Mettere in rete i malati è fondamentale per avviare sperimentazioni cliniche di farmaci poco appetibili per il mercato. Ma è un settore «a conduzione familiare», sostiene Ciancaleoni Bartoli, «lo sforzo ricade quasi tutto sulle spalle e sulle tasche delle famiglie».

NEL CASO DI MALATTIE che colpiscono fasce più ampie della popolazione, queste attività richiedono molto denaro, e le attività di auto-finanziamento non bastano. Così, le donazioni da parte del mondo delle case farmaceutiche diventano essenziali. Solo negli Usa, le prime dieci società farmaceutiche versano 88 milioni di dollari alle associazioni di pazienti. Tra il 2012 e il 2017, le associazioni hanno ricevuto ben 9 milioni di dollari solo dai produttori di farmaci anti-dolorifici oppioidi perché ne promuovessero l’uso. Con il risultato di veder schizzare il numero di overdose per farmaci negli Usa.
In Italia, in base a una norma europea, le società farmaceutiche sono tenute a comunicare annualmente le loro donazioni. L’ultimo rapporto della Fondazione Gimbe, che ha analizzato tali elargizioni, mostra che le prime quattordici società farmaceutiche per fatturato italiano versano circa due milioni di euro l’anno alle associazioni di pazienti italiane. Considerando che le aziende monitorate corrispondono a circa la metà del mercato farmaceutico italiano, il dato va all’incirca raddoppiato per avere una stima nazionale.
Dal canto loro, non sempre le associazioni comunicano pienamente l’origine dei loro fondi. I dati a disposizione sono scarsi, soprattutto per quanto riguarda l’Italia. Secondo un’analisi dell’Istituto Mario Negri di Milano, risalente però al 2012, solo il 6% delle associazioni riportava l’ammontare dei finanziamenti ricevuti dalle aziende, e nessuna specificava a quale percentuale delle entrate corrispondesse. In molti casi, le associazioni non dispongono di un codice deontologico che separi i finanziatori dalle attività svolte.

TALI CONFLITTI di interesse sono inevitabili, se i pazienti non hanno altri interlocutori a cui rivolgersi. L’Italia, infatti, è uno dei paesi in cui in mancanza di altre fonti di finanziamento le associazioni ricevono donazioni private di maggiore entità, rispetto a stati come Francia o Germania. Il caso francese è particolarmente interessante. Dal 2017, infatti, le associazioni degli utenti del sistema sanitario (non solo i pazienti) sono riunite in un forum istituzionale, «France Assos Santé». Il forum, nato come iniziativa auto-organizzata, oggi è riconosciuto dallo stato, e riceve notevoli somme di denaro pubblico per attività e progetti svolti dalle associazioni.
Secondo la nuova «Loi Santé», una riforma del sistema sanitario francese attualmente in discussione, le associazioni che potranno accedere a questi finanziamenti pubblici dovranno rispettare regole deontologiche stringenti sulla quantità e sull’uso dei finanziamenti ricevuti dalle aziende. La possibilità di rivolgersi allo stato sembra essere l’unica maniera di garantire indipendenza tra pazienti e aziende farmaceutiche.

 

SCHEDA

Il rapporto tra cittadini e sanità è pesantemente condizionato dai numerosi conflitti di interesse. La sanità, oltre a essere un servizio, è anche un mercato, in cui l’utilità per produttori e consumatori non coincide affatto. In «Conflitti d’interesse e salute» (Il Mulino) Nerina Dirindin, Chiara Rivoiro e Luca De Fiore analizzano in modo esaustivo tutti i conflitti di interesse che intervengono nel mondo medico, dalla fase di ricerca a quella dell’applicazione clinica. Gli autori, tutti studiosi esperti del sistema sanitario italiano e internazionale, indagano come si formano e come si potrebbero risolvere i conflitti che, ad esempio, contrappongono aziende e malati: le une vorrebbero più elasticità nella autorizzazione dei farmaci, gli altri temono di assumere rimedi poco sicuri o inefficaci. Ma i conflitti di interesse si stabiliscono anche tra pazienti e medici, quando ad esempio quest’ultimo prescrive cure inutili per favorire un’azienda o per rassicurare il malato.