«Fingiamo di desiderare cose che non desideriamo affatto, in modo che nessuno si accorga che non riceviamo ciò di cui abbiamo bisogno». Sono tra le considerazioni che Lisa Taddeo affida al suo Tre donne (Mondadori, pp. 356, euro 19, traduzione di Ada Arduini e Monica Pareschi), specificando nella prefazione come non si debba leggere il testo al pari di un’opera narrativa. I ritratti di Maggie, Lina e Sloane si collocano infatti in anni di indagini sul campo che l’autrice ha svolto negli Stati Uniti. Giornate trascorse nell’osservazione e nello scambio tra esistenze femminili da cui ha evinto il nucleo poroso del desiderio.

GRAZIE AL FEMMINISMO e alle sue protagoniste – anche di impostazione molto diversa – pensiamo fra tutte a Hélène Cixous e Luce Irigaray, ma anche a Simone de Beauvoir o Teresa De Lauretis, si può confermare che il tema sia stato frequentato a lungo nelle sue conseguenze e a partire dai corpi (anche delle scritture), da una esperienza che ha dato accesso a una distinzione ormai priva di scandalo, ovvero l’esistenza di un desiderio che debba riconoscersi situato e sessuato. Ecco perché possiamo leggere il reportage letterario di Lisa Taddeo con maggiore contezza e gratitudine, ne conosciamo i prodromi storici ma soprattutto simbolici. Centrali tre storie: Maggie, un’adolescente che contatta il proprio piacere nella prossimità di chi potrebbe esserle padre per poi comprenderne il tenore anni dopo. Infine i cortocircuiti del godimento e della infelicità coniugale; se Sloane «accontenta» le fantasie del proprio compagno, Lina sente solo di non essere stata più baciata da circa un decennio.

RADIOGRAFIE DEL POSSIBILE psichico e materico relazionale di cui si occupa anche la scrittrice statunitense Carmen Maria Machado nella raccolta di racconti Il suo corpo e altre feste (Codice edizioni, pp. 262, euro 18, traduzione di Gioia Guerzoni). Gli intrecci e i debutti della sessualità svettano in esplosione maestosa di circostanze che si plasmano nelle creature violente e audaci che si incontrano negli otto quadri, c’è una ragazza che si aggrappa per la prima volta «come una naufraga» a un corpo maschile, ci sono donne che amano altre donne e che afferrano l’illimitato del proprio stesso sesso. Rabbia e vergogna ma anche buio «in cui potrebbe aggirarsi qualsiasi cosa», sono tante le direzioni che la vulnerabilità incarnata nel desiderio sceglie di orientarsi; è assenza di gravità o voracità senza limiti che muta nel vocabolario anatomico-legale del bizzarro dizionario di Law&Order, unità vittime speciali del racconto «Particolarmente esecrabili». In questo fluire (del genere come delle cose finite), a incontrarsi sembrano esserci la sagacia tagliente di Shirley Jackson e l’esorbitanza narrativa di Maggie Nelson. Ma qui si parla sempre di desiderio e la sua assenza è pur sempre carnale. Sfonda nel fantastico e noir di Machado e arriva fino ai racconti brevi e folgoranti di Helen McClory in Fotogrammi di un film horror perduto (il Saggiatore, pp. 184, euro 18, traduzione di Stefania Perosin), fondi come un disastro e tersi di promesse vertiginose.

NON È VERO cioè che è la mancanza ad agitarci, anche quella zona d’ombra è piena di corpi, compromessi dal vivere e talvolta dall’essere morti, come la ragazza uccisa che si rianima ed esce dal televisore per prepararsi un caffè e accendersi una sigaretta in una casa disabitata. «Brillanti e oscuri, come tante piccole caramelle alla liquirizia», nella definizione di Margaret Atwood, bisognerebbe affrontare altri sapori per esempio sperimentati nell’indigeribile quanto favoloso esordio che è La carne di Emma Glass, in cui la realtà è solo un abbrivio per avventurarsi nel suo contrario.
Di questi contrappesi scrive anche McClory, là dove rammenta che il desiderio è sì senza tempo interno ma ne segue impietoso la freccia, così – come segnala in «Il sangue / Traumatofobia» – se prima era «una specie di disgustosa fame» ora che ne conosciamo il suo lato ambiguo, possiamo carezzare tante delle creature che lo assediano e confondono; dovremmo chiarire – scrive in «Ipseità» – che la metafora è «un mostro impossibile in un mondo in cui le cose sono quel che sono». O quando nel racconto «La padrona di casa nel machair», prepara un piccolo ma acuto manifesto del tempo futuro: «Il desiderio raggiunge la mente attraverso la pelle. Chi sostiene che lo faccia attraverso gli occhi, si sbaglia. Oppure si sbaglia sul concetto di desiderio. Il desiderio è sull’orlo del piacere». Sarà utile insistere e, anche nel ricordo, non accettare surrogati.