«In un momento così critico, chiediamo a Israele di revocare il blocco che attua da 13 anni in modo che Gaza possa avere le forniture mediche necessarie per combattere il Covid-19 e prendersi cura di tutti gli ammalati». È un passaggio dell’appello per la fine del blocco di Gaza che 20 ong e centri per i diritti umani locali e internazionali – tra cui Human Rights Watch,  Oxfam, Adalah, B’Tselem – hanno firmato ricordando che la Quarta Convenzione di Ginevra obbliga un occupante a garantire «l’adozione e l’applicazione (in un territorio occupato) delle misure profilattiche e preventive necessarie per combattere la diffusione di malattie contagiose ed epidemie». Nessuna risposta dal governo Netanyahu.

 

La preoccupazione globale per il coronavirus non ha portato a un mutamento o almeno ad un ammorbidimento della politica di Israele nei territori occupati di Cisgiordania e Gaza. Certo il Cogat, che per conto delle Forze armate israeliane si occupa dei civili sotto occupazione, ha facilitato l’accesso a Gaza e in Cisgiordania di materiali e attrezzature sanitarie. Ma solo occasionalmente ha contribuito a queste forniture offerte sino ad oggi dall’Oms, Banca mondiale, ong e istituzioni umanitarie. Peraltro l’Autorità Nazionale (Anp) di Abu Mazen chiede ancora che tutti i manovali palestinesi – migliaia – che dallo Stato ebraico rientrano in Cisgiordania siano sottoposti al tampone in Israele per meglio individuare, prima del rientro alle loro abitazioni, coloro che sono stati contagiati. Israele invece vuole che i tamponi li faccia l’Anp che non ha la capacità e un numero sufficiente di kit disponibili.

 

Neanche a marzo, il mese in cui la pandemia ha raggiunto massicciamente ogni angolo del mondo, inclusi Israele e i Territori occupati, si sono arrestati i raid dell’esercito israeliano in Cisgiordania, che avvengono in prevalenza di notte. E due giovani palestinesi sono stati uccisi dai soldati durante proteste. La Commissione per gli affari dei prigionieri, la Società per il prigioniero palestinese e la ong Addameer per i diritti dei detenuti politici palestinesi, in un comunicato congiunto riferiscono che il mese scorso l’esercito israeliano ha arrestato 357 palestinesi, tra i quali 48 ragazzi con una età inferiore ai 18 anni e quattro donne: 192 a Gerusalemme, 33 a Ramallah, 45 a Hebron, 19 a Jenin, tre a Betlemme, 23 a Nablus, 11 a Tulkarm, 18 a Qalqilya, cinque a Tubas e otto a Gaza. E di nuovo, per la settima volta in 18 mesi, è stato arrestato Adnan Gheith, il governatore dell’Anp a Gerusalemme. Gheith avrebbe «violato la sovranità israeliana» sulla città. Lui spiega di aver soltanto avviato iniziative volte a combattere la diffusione del coronavirus nel settore arabo di Gerusalemme.

 

Sono circa 5000 i prigionieri politici palestinesi in Israele, tra cui 41 donne e 180 minori. Qualche settimana fa le autorità israeliane avevano annunciato che, per evitare la diffusione del virus nelle carceri, alcune centinaia di prigionieri sarebbero stati messi in detenzione domiciliare. Ma non quelli palestinesi perché condannati per reati «contro la sicurezza e per terrorismo». Addameer sottolinea che non sono stati mandati a casa neppure i minori e i 430 palestinesi in detenzione amministrativa, incarcerati senza processo e accuse formali. 92 dei quali solo il mese scorso.