Ce la farà? Abbiamo girato la domanda a uno dei massimi esperti del cosiddetto corbynismo, Mark Perryman, saggista, opinionista, attivista, che sull’argomento ha curato due belle antologie: la prima,The Corbyn Effect, cucinata subito dopo l’imprevedibile successo alle elezioni del giugno 2017, con un Corbyn protagonista di un entusiasmante crescendo nonostante i pessimi pronostici; la seconda, Corbynism from below, ovvero dal basso, documentatissima incursione in quella galassia di collegi, situazioni anche creative, gruppi, sigle, bands e relative anime – una realtà tutt’altro che omogenea e proprio perciò ricca di potenzialità.

«Non mi sbilancio, nessuno lo farebbe. Gli effetti della Brexit come anche le accuse di antisemitismo, sono stati devastanti. Jeremy e tutto il suo staff, in particolare John Mac Donald, sono stati bravissimi nell’intento di allargare il focus sui temi della giustizia sociale, della politica economica, del Green New Deal, e con impareggiabile concretezza, dati, cifre, costi e benefici, a sostegno di un progetto per niente ideologico, al contrario molto pragmatico e convincente. Ma mai come in queste settimane di campagna si è percepita la realtà di un paese profondamente lacerato. E sarebbe bello pensare che una volta vinte le elezioni cambia tutto – ma sappiamo con quale tipo di establishment abbiamo a che fare, e un conto è stare all’opposizione, un altro è diventare Downing Street e mettere in pratica tutto quello che sta scritto nel Manifesto, che è tanta roba: rinazionalizzazione di tutto quanto, ferrovie, trasporti, utenze; equa (ovvero alta) tassazione per i miliardari che qui hanno trovato il miglior paradiso fiscale (e ancor meglio saranno trattati con la Brexit); potenziamento massiccio della spesa edilizia e sociale a favore dei meno abbienti; investimenti nel Green New Deal…

Un progetto insomma chiaramente socialista, per cui: partita enorme, che ovviamente sarà possibile intraprendere solo in caso di slandlide victory, ovvero con significativa maggioranza… Cosa che non credo possibile: se vittoria sarà (e non sarei così ottimista), sarà sul filo del rasoio – e inevitabilmente a macchia di leopardo, perché l’effetto della Brexit al di là della questione Leave/Remain in Europa, è stato proprio riattivare tutti i possibili risentimenti, all’interno di un Regno sempre meno Unito (e di questa disunione il Labour ha sofferto molto… discorso complesso).

La mia personale previsione è che, come già nel 2017, le urne non riusciranno affatto ad esprimere una chiara maggioranza, per cui di nuovo ci troveremo a ragionare sulle possibili coalizioni. A meno che non si decida una volta per tutte di abbandonare questo sistema elettorale, visto che una maggioranza ‘secca’ non potrà mai più esserci. Ma comunque andrà, questa intensa stagione politica che ho cercato di raccontare a più voci con questi due libri e una quantità di articoli, continuerà ad essere una storia entusiasmante, la riaffermazione di una soggettività che sembrava totalmente sparita anche all’interno del Labour, dopo quella specie di ubriacatura che è stato il Blairismo – e che invece è riemersa, fino ad affermarsi non solo come ethos, ma come vera e propria pratica, linguaggio, modo di relazionarsi, nel nome del noi, del maggior bene comune dell’insieme, rispetto al singolo individuo. E questo, dopo anni di Tatcherismo che ha così pesantemente avvelenato il tessuto produttivo, sociale, relazionale di questo paese, è quasi un miracolo – ed è il tema appunto del mio primo libro The Corbyn Effect.

E dunque: ce la farà, mi chiedi… e io ti rispondo che se anche Corbyn perdesse (e dovesse per forza risponderne, ovvero dimettersi), la guida del partito passerà nelle mani delle sue più strette collaboratrici, e mi piace sottolineare questa molto probabile successione al femminile: Angela Rayner. Rebecca Long-Bailey, Emily Thornberry, tutte di grande spessore, benché più giovani di Jeremy, e perfettamente in grado di proseguire nel solco che lui ha tracciato. Che è un solco probabilmente non destinato ad alcuna vittoria (mi impongo di essere realista), ma molto molto importante: pulsione e al tempo stesso agency di cambiamento.

Dubito che una simile cosa possa sciogliersi come neve al sole. Comunque andrà il 12 dicembre, questi anni sono serviti a rilanciare una gran voglia di politica, e con una tale passionalità, con una tale energia appunto dal basso, che non vedo l’ora di vederne gli sviluppi.»