La scelta di A Ciambra per rappresentare l’Italia agli Oscar nella categoria del miglior film straniero è un segnale molto positivo per il cinema nazionale tutto. E non solo, ovviamente, perché l’opera seconda di Jonas Carpignano è un bel film, capace di restituire un mondo, quello della comunità rom di Gioia Tauro dove è ambientato nelle sue contraddizioni, senza giudizio e senza alcuna retorica «sentimentale» che non sia mettersi accanto a personaggi, seguirli, accettarli pure nei loro gesti meno limpidi.

Filma di corsa, Carpignano, all’ultimo respiro come entra nel mondo il suo giovanissimo protagonista, col quale condivide dietro alla macchina da presa lo spazio e il tempo della vita, delle scelte, i furti, le fughe, le liti, la famiglia. Le risate, le sigarette, le decisioni anche brutte, pesanti, dolorose in un movimento esistenziale giocato su equilibri complessi ogni giorno, impossibili detour e strade già segnate. Tutto è vero ma tutto è messo in scena anche se il regista, che è cresciuto in America, padre italiano e mamma african american, nei posti dei film ci ha vissuto a lungo e ancora ci sta. Era lo stesso nel suo lungometraggio d’esordio, Mediterranea (2015), girato sempre in Calabria tra i migranti che arrivano in Italia dall’Africa e per non soccombere al territorio di corruzione e vuoto in cui approdano inventano a loro volta un’obbligata arte della sopravvivenza. Ma questa dimensione quotidiana della realtà in quel film come in A Ciambra esiste nella distanza narrativa che permette di tratteggiarla con precisione e vitalità. In questo senso Carpignano apparso come un sorprendente «outsider» venuto da lontano rispetto al sistema del cinema nazionale – si avvicina invece a a quei registi e film italiani che nel confronto col mondo o col presente provano a sperimentare una forma cinema, delle invenzioni di immaginario. Sono energie che coinvolgono chi lavora nel documentario o nella finzione sempre con la chiarezza del proprio punto di vista.

Penso a Leonardo di Costanzo – di cui è in uscita il secondo film, L’intrusa – Alice Rohrwacher, Pietro Marcello, Alessandro Rossetto solo per citarne alcuni, opere che piacciono all’estero, che vincono i festival, che fanno discutere, che cercano anche di «scompigliare» le regole rispetto alla tradizione. E, di fronte a un immaginario di luoghi o di temi «attuali» si muovono con libertà. Il sud di Carpignano in A Ciambra non somiglia a nessun sud di camorra, periferie, mafie varie (e meno male), non ha bisogno del «genere» qualunque esso sia.

Dentro un paesaggio vivo, colto obliquamente e in profondità sa disegnare emozioni universali: un romanzo di formazione al presente. La decisione di scommettere su A Ciambra è perciò anche un riconoscimento a un cinema italiano in trasformazione. Una scommessa importante comunque sia.