Preannuncio di Sessantotto. Donna, docente alla Cattolica di Milano, già assessora alla Provincia di Bolzano per la Dc, novarese trasferitasi in Alto Adige per matrimonio (con Nene), già staffetta partigiana in Valsesia, credente, scelta marxista, militante a 24 carati. E potremmo continuare: pacifista, femminista, «estremista»… Lidia (Brisca) Menapace fu tutto questo e molto altro ancora, con una sua identità umana e intellettuale non meramente sovrapponibile alle altre personalità del Manifesto.

Ci lascia a 96 anni. Praticamente un secolo, come Rossana Rossanda. Vissuto intensamente. Tra affermazioni e mancati (o tardivi) riconoscimenti. Siamo in molti a doverle gratitudine per aver appreso da lei insieme il coraggio del cambiamento e il dovere della coerenza e del rigore. La sua figura influì negli anni ’60 sul percorso di vita di molti giovani, parecchi dei quali legati alla Facoltà trentina di Sociologia e all’esperienza del dissenso cattolico. Di allora fu il suo legame politico con Alex Langer, anch’egli di Bolzano, stessa tempra, stessi valori ma poi con proiezioni politiche diverse.

Ben presto la personalità di Lidia, complice la nascita del Manifesto come gruppo e successivamente come giornale, si impose a livello nazionale. Non fu però mai un personaggio mediatico, lei scavò più nelle persone e nelle intelligenze, senza riverbero di popolarità nei media. La sua base di vita rimase Bolzano (peraltro anche Langer rimase ben piantato nel suo territorio, nonostante il suo protagonismo addirittura internazionale). E già in questo si rivela una caratteristica della persona. Proverbiale fu sino all’ultimo la sua disponibilità a girare per ogni dove, sempre con il treno, in grado di affrontare temi importanti magari di fronte a poche persone. I suoi racconti di questi incontri erano di arricchimento per chi poteva ascoltarli. Lidia, tra il resto, era una grande «raccontatrice», capace di trasmettere convinzioni, entusiasmi, stimoli, quasi mai delusioni o melanconie.

Almeno così io l’ho conosciuta fino a quando le nostre strade si separarono, verso lidi politici amichevolmente diversi. Ma come non ricordare le nostre cene nella «comune» dove vivemmo con altri del manifesto in via Brunetti a Roma, nell’abitazione di Corso Libertà a Bolzano, nella casa estiva dei Menapace a Cles in val di Non.

Mi capitò di capire ancor meglio e di ammirare Lidia quando, senatrice di Rifondazione, con una dichiarazione antimilitarista «buttò via» la presidenza della Commissione Difesa del Senato cui era stata designata. Coerenza e rigore, per l’appunto. E mi venne subito da pensare alla Lidia staffetta partigiana, a un filo che si riallacciava. Robusta fu la sua elaborazione sui temi della scuola. A questo proposito, ricordo un suo intervento al convegno del Manifesto del 1970 dal titolo Scuola e sviluppo capitalistico.

Lidia prese la parola e subito disse: «Siamo qui per parlare della scuola e non del rapporto tra movimento studentesco e il Pci». In questa affermazione sta molto dell’identità politica di Lidia. Come dicesse al gruppo del Manifesto: parliamo della società, senza restare eternamente ristretti nelle nostre biografie politiche. Lei veniva, come sappiamo, da altri percorsi e amava molto il rosso, ma anche l’arcobaleno.