«L’esercito israeliano, il più moderno e sofisticato del mondo, sa chi ammazzare: non lo fa per errore, ma per orrore. Le vittime civili si chiamano danni collaterali, secondo il dizionario di altre guerre imperiali. A Gaza, ogni dieci danni collaterali, tre sono bambini». Le parole di Eduardo Galeano rimbalzano da un lato all’altro dell’America latina contro il massacro di Gaza.

Lo scrittore uruguayano interpreta il sentimento del suo paese e del continente, che si mobilita e si pronuncia per la Palestina. Il presidente uruguayano, José Mujica, ha chiesto «l’immediato ritiro delle truppe israeliane e un cessate il fuoco senza condizioni», altri presidenti che si richiamano al socialismo del XXI secolo hanno usato toni più duri. Il boliviano Evo Morales, capovolgendo i canoni dell’egemonia neocoloniale, ha incluso Israele in una sua lista degli «stati canaglia», e ha annullato un accordo di esenzione dei visti con Tel Aviv.

Il Venezuela, per primo, ha parlato di «genocidio» e denunciato la «guerra di sterminio che dura da quasi un secolo» per bocca del suo presidente, Nicolas Maduro.

Toni forti hanno usato anche il capo di stato dell’Ecuador, Rafael Correa e il suo omologo del Nicaragua, che ha più volte invitato la comunità internazionale a fermare la mano assassina di Netanyahu. Il Nicaragua ha rotto le relazioni con Israele nel 2010, il Venezuela e la Bolivia lo hanno fatto durante l’operazione Piombo fuso, nel 2009. E Cuba, le cui autorità hanno immediatamente preso posizione contro lo sterminio dei palestinesi, ha interrotto le relazioni con Tel Aviv già nel 1973, dopo la guerra del Kippur.

La presidente del Brasile, Dilma Rousseff, non ha parlato di genocidio, ma di «massacro», però ha unito la voce a quella del Cile, del Salvador, del Perù, del Costa Rica e dell’Argentina, che conta la più grande comunità ebraica della regione. Tutti hanno convocato gli ambasciatori israeliani. Un continente quasi compatto, spinto dalle manifestazioni che si ripetono in tutto il continente. Ieri ce n’è stato una in Venezuela, convocata da Maduro. Di segno inverso, l’atteggiamento dell’opposizione. A Caracas, il ministero degli Esteri raccoglie aiuti per Gaza, i militanti pubblicano elenchi di marche israeliane da boicottare, e verrà aperto il rifugio Hugo Chavez, per i bambini della Striscia.

Tra i silenzi più assordanti, quello della Colombia, il cui ruolo di gendarme nel continente è paragonabile a quello che svolge Israele in Medio Oriente. Tel Aviv è consulente e alleato dei governi neoliberisti colombiani per le operazioni sporche a guida Usa messe in atto contro l’opposizione interna e le democrazie dei paesi confinanti. In questi giorni, una petizione firmata da numerose personalità politiche di opposizione come la ex deputata Piedad Cordoba ha chiesto al presidente colombiano Manuel Santos di assumere una posizione consonante a quella del continente.

Giornali e siti latinoamericani danno conto anche delle manifestazioni che si svolgono in Europa e nel resto del mondo: in Francia ce n’è stata un’altra ieri, a Londra hanno proiettato la bandiera palestinese sul Parlamento. Anonymous ha hackerato il sito del Mossad. Anche in Italia gli attivisti si muovono, ma l’oscuramento della stampa è completo. Scendono in campo i musicisti come i portoricani Calle 13. Cubadebate ospita interventi che smascherano la disinformazione: in pieno massacro di Gaza The Times of Israel lamenta che i razzi di Hamas «hanno ferito una povera civetta a un occhio».