Oltre l’economia, i simboli. Il fondamento economico delle strutture sociali è indubitabile ma da solo non basta a comprendere quanto si muove nei labirinti delle vite individuali e collettive. Una verità che le multinazionali hanno ben presente e la cui comprensione le aiuta a moltiplicare influenza e profitti.
Consumo e consumismo non sono la stessa cosa. Mentre il primo è sempre esistito perché coincide con la sfera della riproduzione della vita, il secondo ha cominciato a pervadere le società dall’inizio del XX secolo e si basa «non sul consumo di oggetti ma sulla diffusione di nuovi simboli», la cui capacità di penetrazione nelle coscienze dei singoli e nelle culture è diventata sempre più pervasiva, illimitata e sovrana, sino a delineare un vero e proprio «totalitarismo simbolico», come spiega nel suo libro Gianpiero Vincenzo (Starbucks a Milano e l’effetto Don Chisciotte. I rituali sociali contemporanei, Meltemi, pp. 148, euro 15).
Il consumismo è infatti capace di assumere aspetti sociali, progressisti, umanitari; di presentarsi come «ecosostenibile» nel momento stesso in cui distrugge irreversibilmente risorse. «Starbucks, per esempio, non dice che i suoi 4 miliardi di tazze vendute ogni anno non sono biodegradabili».

La convinzione che il profitto sia la prima e ultima legge dell’agire umano è penetrata nel corpo sociale sino a far sì che «la stessa ricerca intellettuale si è ormai assoggettata a questa prospettiva»; studi, argomenti, progetti di ricerca che accrescano il sapere ma non generino profitti sono considerati inutili. Informazione, intrattenimento, scienze e religioni sono tutte sottoposte alle leggi della domanda e dell’offerta, alla lotta pubblicitaria dell’apparire, alla sostituzione di universi simbolici profondi con dei surrogati tanto attraenti quanto fasulli. Gli universi di significato si sono raggrumati in «un’egemonia simbolica orientata al consumo».
Le multinazionali della Rete e i social network sono i luoghi deterritorializzati di una interazione che mentre dà l’impressione di aver infranto confini e barriere chiude in realtà i suoi fruitori dentro echo chambers claustrofilici, i cui membri si sentono di continuo ripetere ciò di cui sono già convinti, mediante il filtro generato dalla profilazione delle scelte compiute da ciascuno dentro il web. Si tratta di un modello sociale settario e potenzialmente molto autoritario, che è definito da Gianpiero Vincenzo come effetto Don Chisciotte poiché «chi si fa assorbire dalle immagini di consumo (videogiochi, serie televisive, navigazione social, ecc.) non riesce più a distinguere la notte dal giorno, il vero dal falso. L’effetto Don Chisciotte indica un generale e diffuso incantamento».
La cosiddetta «realtà aumentata» era già presente nella mente di Don Chisciotte che vedeva molto più di quello che esisteva nel mondo poiché il suo universo simbolico si era contratto in coordinate sempre più povere e unidirezionali.
La mancata consapevolezza della potenza dei simboli nelle esistenze private e collettive genera una solitudine che è tra le più profonde radici della passività contemporanea e che si esprime anche nel tipico modo di camminare di molti individui: a faccia in giù, concentrati sul proprio smartphone, in una sorta di solitudine monastica proiettata verso un universo immaginario. Solitudine che è funzionale alla frammentazione del corpo sociale e quindi alla perpetuazione del dominio su di esso. L’impegno per l’emancipazione passa anche attraverso il pieno riconoscimento degli elementi simbolici dell’esistenza umana.