La mannaia sui contributi pubblici all’editoria, il linguaggio offensivo contro i giornalisti, la promessa di altre restrizioni finanziarie, l’intervento a gamba tesa per bloccare la pubblicità delle aziende pubbliche sui quotidiani. Ce n’è abbastanza per fare nome e cognome di chi in Italia sta attentando alla libertà di stampa. A puntare l’indice questa volta non è il manifesto o Radio Radicale ma il Consiglio d’Europa che ieri ha pubblicato un rapporto sulla «Libertà di espressione» nel 2018 in tutti i Paesi dell’Unione.

Un documento nel quale l’organismo, che quest’anno festeggia i 70 anni della sua esistenza, accusa esplicitamente il vicepremier Luigi Di Maio di utilizzare «insidiose museruole» per tacitare i media italiani. D’altronde, solo qualche giorno fa la classifica di Reporters sans frontières sulla libertà di stampa fissava l’Italia al 43° posto su 180.

«Il diritto delle persone di formare, trattenere ed esprimere le proprie opinioni senza indebita interferenza – scrive nell’introduzione il Coe – è fondamentale per la realizzazione di tutti gli altri diritti umani». Nelle 22 pagine del rapporto, pubblicato in occasione della giornata mondiale della libertà di stampa che si celebra oggi, la principale organizzazione europea in difesa dei diritti umani – che comprende tutti gli Stati (47, di cui 28 membri dell’Ue) che hanno sottoscritto la Convenzione europea dei diritti dell’uomo – registra l’aumento delle minacce ai giornalisti negli ultimi cinque anni.

Nel terzo capitolo, quello sull’indipendenza dei media, il documento stilato dall’Information society department avverte: «Pressioni finanziarie, favoritismi e altre forme di manipolazione indiretta dei media possono essere museruole altrettanto insidiosi e sono sempre più utilizzati da politici di ogni tipo». Due gli esempi più eclatanti: la Serbia e l’Italia.

Ed è nel nostro caso che «il vice primo ministro e leader del Movimento cinque stelle ha invitato le aziende statali a interrompere la pubblicità sui giornali e ha annunciato piani per “una riduzione dei contributi pubblici indiretti” ai media nel bilancio 2019». In realtà, lo ricordiamo, nel frattempo, con l’ultima legge di bilancio è entrata in vigore la cosiddetta «riforma Lotti» che contiene anche l’azzeramento entro il 2022 dei contributi diretti per il pluralismo.

Una mannaia che sarà esiziale non certo per «i giornaloni» quotati in borsa, tanto odiati dai populisti a 5 Stelle, ma solo per un lungo elenco di giornali locali o dedicati alle minoranze politiche e linguistiche, per i quotidiani diocesani (anche l’Avvenire) e per i media prodotti da editori puri come la cooperativa che edita il manifesto e le altre cooperative di giornalisti.

Gli alert giunti al Consiglio d’Europa ricordano poi che nel novembre 2018 «il vice primo ministro Di Maio e l’ex deputato Di Battista hanno insultato i giornalisti», e citano «un post sui social media contenente un linguaggio offensivo contro i giornalisti italiani» e che annuncia «nuove restrizioni legali agli editori». Anche qui, mentre il rapporto era in via di pubblicazione, il governo italiano è riuscito a fare più e meglio di quanto promettevano i due leader pentastellati, annullando anche la convenzione del Mise con Radio Radicale per la trasmissione delle sedute parlamentari.

Un servizio pubblico che l’«organo della lista Marco Pannella» fornisce ininterrottamente da 43 anni perché ha vinto una gara pubblica, l’unica indetta e mai rinnovata. Ma il M5S e il suo esponente con delega all’editoria, il sottosegretario Vito Crimi, non sembrano sentire ragioni.

Malgrado anche ieri si sono levate voci dai territori: contro la chiusura dell’emittente radicale si sono schierati l’Assemblea regionale siciliana e il Consiglio regionale della Toscana, che hanno approvato due distinte mozioni «in difesa di un pezzo di storia della democrazia italiana», come si legge nel documento votato dall’Ars all’unanimità.

Nel frattempo al Senato il Pd ha annunciato di voler presentare una serie di emendamenti al decreto crescita per prorogare la convenzione dello Stato con Radio Radicale fino al 31 dicembre e per poi indire una nuova gara. Infine, in favore dell’emittente saranno in molti – dall’Fnsi ad Articolo 21, dall’Associazione Stampa Romana alla Comunità Ebraica di Roma e fino alla Comunità di Sant’Egidio, – a manifestare domenica 5 maggio a Roma, dalle 19 in Piazza Mattei. Schierandosi al fianco di Rita Bernardini e Maurizio Bolognetti che da settimane sono in sciopero della fame.

Invece, la mozione del Consiglio regionale della Toscana, presentata dal Pd e votata da tutti tranne il M5S che si è astenuto, impegna la giunta regionale ad attivarsi anche «affinché non venga interrotta l’azione del finanziamento pubblico per l’editoria». Una voce piuttosto isolata, a dire il vero, soprattutto nel centrosinistra. Lo dimostra l’assordante silenzio con cui è stato accolto ieri il netto j’accuse del Consiglio d’Europa. «Dove sono oggi quelli che manifestavano con il bavaglio sulla bocca?», chiede provocatoria la vicepresidente della Camera e deputata di Forza Italia Mara Carfagna. Difficile darle torto.