I titoli delle sue opere, A Spectacle of privacy e Here and There, sembrano degli ossimori. Ma l’obiettivo è chiaro: investigare il tema del confine, in tutte le sue forme, attraverso l’analisi della soggettività. Roy Dib, libanese di Tripoli, è uno dei trenta artisti in mostra al Maxxi di Roma, in Home Beirut (dal 15 novembre al 20 maggio 2018), un’esposizione che rende omaggio al filone mediorientale, in particolare libanese.

Artista e filmmaker, Dib indaga la realtà oltre la superficie, facendo molta attenzione all’aspetto individuale. Al Maxxi, si presenta con A Spectacle of privacy (2014), un video di nove minuti in arabo, con sottotitoli in inglese – già vincitore di diversi premi – in cui una coppia parla della propria intimità. «Il dialogo tra i due – spiega l’artista – è volutamente posto in analogia con la relazione tra Israele e Palestina. E ho usato il sesso come metafora di questo conflitto, proprio perché mi sembrava che il rapporto intimo tra uomo e donna potesse rappresentare al meglio lo scontro tra questi due paesi».

Durante il video, i due protagonisti insistono molto sull’uso del preservativo: «Può sembrare provocatorio, ma l’ostinazione per la necessità del condom è l’allegoria della mancanza di fiducia tra i due popoli, per cui è fondamentale proteggersi a vicenda. – continua Dib – Più in generale, e lo racconta il titolo stesso dell’opera, il mio scopo principale è quello raccontare l’intimità del soggetto, la sua dimensione personale. Farlo, vuol dire avere un’idea definita di ciò che accade nelle vite delle persone, e come queste si trasformino in esperienze collettive. Ho scelto due amanti a letto, che si confrontano sì sulla propria intimità, ma anche su qualcosa che vive fuori dalla loro camera, come la politica. Trovo efficace questo genere di operazione, perché riesce a far emergere entrambe le dimensioni, quella pubblica e privata».

Si parla – ancora – della sovrapposizione tra privacy e universalità, nell’altro esperimento artistico in mostra, Here and There. «Questa installazione – spiega Roy Dib – deve l’idea a una immagine vista sul web: alcuni abitanti di Aleppo, quelli che ancora abitano in quel terribile teatro di violenza, si nascondono dietro enormi drappi di stoffa, posti sui balconi e sulle terrazze degli edifici, per ripararsi dalle raffiche di mitra dei cecchini. La stoffa in sé non li protegge dai proiettili, ma lo sventolìo dei tessuti rende difficile prendere la mira». Dib ha presentato la sua opera in giro per il mondo, partendo dall’esperienza degli abitanti di Aleppo, ma personalizzandola a seconda del paese ospite. «Qui a Roma ho voluto portare un pezzo di Siria, installando tendaggi di stoffa veneziana damascata tra i due piani del museo, attraverso i quali i visitatori dell’esposizione dovranno passare. Pur non vivendo la drammaticità della guerra, in Italia, e non avvertendo la necessità di ripararsi dai proiettili, la suggestione e il senso di protezione che emana dai drappi risulteranno essere identici ai quattro angoli del mondo».