L’individuazione e l’analisi di controversie e conflitti sono parti importante della fenomenologia della storia. Lo storicismo ottocentesco, declinato nelle sue differenti versioni (hegeliana, marxiana, positivista) vedeva proprio nelle dicotomie, sebbene di natura assai differente a seconda delle scuole di pensiero, il motore stesso del divenire storico. È una tipo di pensiero storiografico mai del tutto tramontato, anche se messo a dura prova dalla nouvelle histoire del Novecento, ma che in forma particolarmente grossolana è sembrato tornar di moda negli scorsi decenni con alcune opere che hanno avuto un notevole riscontro massmediale.

Nel 1992 lo storico statunitense Francis Fukuyama aveva pubblicato un libro, intitolato La fine della storia, nel quale si prediceva che il Nuovo ordine mondiale, successivo alla dissoluzione dell’Urss, avrebbe portato il mondo verso un equilibrio transnazionale retto da un’unica dottrina comunemente accettata da tutti: la democrazia liberale. Il testo fu ridicolizzato quasi all’unanimità per il suo positivismo teleologico semplicistico e datato che preconizzava «l’uscita dalla storia» grazie al liberal-liberismo occidentale, il migliore dei sistemi possibile. Ma davvero la storia finisce in assenza di conflitti? E davvero l’esaurirsi della conflittualità tra il blocco occidentale e quello orientale significa anche l’esaurirsi di ogni conflittualità?

Ed ecco che l’anno successivo, quasi in risposta a Fukuyama, sebbene nel medesimo ambito ideologico, Samuel Huntington proponeva (inizialmente su una rivista) quel concetto di «clash of civilizations» che sarebbe poi divenuto il titolo del suo best seller. La teorizzazione di «scontro di civiltà», però, non era certo nuovo. L’aveva infatti proposto per la prima volta a metà anni Sessanta un celebre orientalista e islamista, Bernard Lewis (a sua volta vicino agli ambienti neoconservatori), nel libro The Middle East and the West. Ciò che Huntington faceva, però, era promuovere questo concetto a motore della storia contemporanea (con molte proiezioni nel futuro): costruiva difatti un’ingegnosa ma alquanto astratta e macchinosa mappa geoculturale del mondo distinta in «civiltà» come l’occidentale (cioè euroamericana), la musulmana, la confuciana cinese ecc.: civiltà concepite come blocchi coerenti e compatti al loro interno e, almeno potenzialmente (ma non solo…) l’una contro l’altra armate.

Lasciamo da parte le considerazioni sulla capacità di interpretare la realtà propria a queste posizioni, ideologiche piuttosto che storiografiche. Resta il tema del conflitto: quanto tale concetto è importante nella comprensione della storia? «Se, come diceva Eraclito, il «divenire» esiste in quanto tutta la realtà è legata alla presenza di opposti, ecco che, nel meccanismo della controversia, possiamo trovare il germe stesso dell’attività dell’intelligenza umana, che si esprime nel tentativo di conoscere la verità, o una delle verità, pur nella congerie del dubbio: la controversia può generare una spinta verso il progresso storico, letterario, artistico, antropologico. E poiché Eraclito sosteneva che «Polemos è signore di tutte le cose», direi che, in fin dei conti, proprio la lotta è il tema conduttore che unisce tutti gli articoli qui presenti: scontri di diverso genere e matrice, con differenti esiti e substrati, di varia materia letteraria, storica, filosofica, ma pur sempre «battaglie» che, nell’eterna conflittualità insita nella prevalente dinamica duale del pensiero occidentale, portano dalla tesi all’antitesi e non sempre trovano, hegelianamente, una sintesi».

Chi scrive è Gloria Larini nell’Introduzione a una raccolta di saggi scritti da autori differenti, da lei curata, e intitolata Controversie. Dispute letterarie, storiche, religiose dall’Antichità al Rinascimento, che esce per una nuova collana, Storie e linguaggi, della Libreriauniversitaria.it edizioni (pp. 276, euro 21,20).

Nel complesso si tratta di una raffinata riflessione condotta dalla curatrice e dagli autori su un tema che viene appunto individuato come centrale nella cultura occidentale. Il leggerne attraverso temi in apparenza «piccoli» e lontani (l’iconoclastia, il rapporto tra «barbarie» ed «eresia», la predica di san Francesco al sultano, i topoi del duello nella storiografia antica e così via) offre un approccio se vogliamo laterale a un grande tema; ma sono pagine che si leggono come una boccata d’aria fresca rispetto alla grossolanità di quanto esposto in precedenza. E che comunque conducono a gettar luce su temi più ampi, come una sorta di benvenuta microstoria delle idee.