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Il coltivatore della biodiversità

Agricoltura Nel suo agriturismo a Suvereto, nel livornese, Fabiano Busdraghi coltiva 450 varietà di ortaggi. Recuperate in anni di scambi, viaggi e ricerche

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 7 marzo 2019

Non è facile trovare in giro per l’Italia un agricoltore che coltivi nella sua azienda oltre 450 vecchie varietà di ortaggi provenienti un po’ da tutto il mondo. Fabiano Busdraghi, 38 anni, è uno di questi. Nel suo agriturismo a Suvereto, in provincia di Livorno, ha realizzato in miniatura ciò che si fa da dieci anni nelle isole norvegesi delle Svalbard attraverso la banca mondiale dei semi: salvare varietà a rischio di estinzione. Il paragone è molto probabilmente esagerato, ma rende l’idea dell’opera di salvaguardia della biodiversità che sta compiendo. Del grande catalogo di ortaggi – tutti coltivati in purezza, stando quindi ben attento a non incrociarli – presenti nell’agriturismo Poggio Diavolino la parte del leone lo fa il pomodoro con 200 varietà dai più disparati colori (giallo, arancione, rosa, verdi, violacei, blu e neri), a seguire decine di tipi di zucca, da quelle che pesano pochi grammi a quelle che superano i 100 chili, e poi fagioli, patate ma anche altre verdure poco conosciute come il sisaro, il cerfoglio tuberoso, la mandorla di terra tanto per citarne alcune. Lo scopo di questo lavoro non è certamente commerciale, ma quello di tenere in vita una biodiversità varietale a rischio di estinzione. «Salvaguardare la biodiversità, nel mio caso orticola», racconta Busdraghi, «non è un fatto di moda ma la presa di coscienza che occorre assicurare a tutti gli esseri viventi una fonte di cibo importante per il futuro. Se noi coltiviamo, per esempio, solo dieci varietà di pomodoro», prosegue il giovane agricoltore, «e poi arriva dall’altra parte del mondo un parassita o un virus o l’accentuarsi di estati calde o qualcos’altro legato al cambiamento climatico potrebbe succedere che nessuna di queste varietà riesca ad adattarsi, potrebbero sparire tutte e con esse il pomodoro. Se invece si coltivano centinaia di varietà di pomodoro, come si sta facendo con tanta difficoltà oggi a opera di molte persone, ve ne sarà sempre qualcuna in grado di tollerare quella malattia o resistere all’aumento delle temperature e così via. E da quelle poi si potrà ripartire per ottenerne di nuove. Scommettere», afferma Busdraghi, «su poche varietà di ogni ortaggio, ma questo vale anche per tutte le piante, solo perché molto produttive è un rischio troppo grande. La storia lo insegna. Ricordiamoci ciò che è capitato in Irlanda alla metà dell’Ottocento quando a seguito di un grave attacco di peronospora furono decimate intere coltivazioni di patata, fonte principale di alimentazione di quelle popolazioni, causando una grande carestia che provocò molti morti e una grande immigrazione verso gli Stati Uniti».

Fabiano Busdraghi non è sempre stato un agricoltore, né tantomeno i genitori (antiquario il padre, maestra la madre). Lo è diventato per passione. Nato a Milano, dove ha vissuto la sua infanzia, si è trasferito in campagna, a Suvereto, a dodici anni. Gli studi poi lo hanno portato altrove. Si è laureato in fisica all’Università di Pisa e durante il periodo universitario si è trasferito in Francia, dove ha vissuto per dieci anni studiando oceanografia. Ha alle spalle anche un dottorato all’Antartide sulla fisica degli oceani. Una volta terminata l’esperienza fatta al polo decide di cambiare vita e per sette anni svolge l’attività di fotografo a Parigi. Nel 2012 decide di tornare a Suvereto per lavorare nell’azienda agricola di famiglia. Poco più di dieci ettari in proprietà più altrettanti in affitto dove coltiva, oltre alle vecchie varietà di ortaggi, olivi, grani antichi, ceci neri e farro e alleva maiali e vecchie razze di polli ornamentali. Un lavoro duro perché l’azienda agricola è situata in una zona della provincia di Livorno non facile per chi vuole vivere di agricoltura. La tenacia però non gli manca tanto che nell’ottobre scorso è stato insignito del premio Pontremoli 2018 nella sezione agricoltura biologica che è un riconoscimento dedicato «a chi, nonostante tutto, si ostina a perseverare con un’agricoltura eroica, mantenendo in vita le piccole aziende dove è difficile fare reddito, dove l’agricoltura non è industria, ma nell’innovazione si mantiene in vita paesaggio e tradizioni, dove la biodiversità e la qualità sono al centro di tutto».

«La passione per le vecchie varietà di ortaggi», ci spiega Busdraghi, «nasce dalla mia precedente attività di fotografo. Le ho scoperte in Francia scattando delle foto di cibo per riviste del settore e poi coltivandone qualcuna, come per esempio la pastinaca. Quando sono tornato in Italia e volendole coltivare anche nella mia azienda agricola mi sono basato sulle 3-4 varietà che avevo conosciuto in Francia, ma nel nostro Paese mi si è aperto un mondo fatto di centinaia di varietà». Tra le più strane che coltiva vi sono il kiwano, simile a una zucchetta spinosa con un sapore della polpa che è una via di mezzo tra la banana e il frutto della passione, i pomodori garden peach, con la buccia simile a quella di una pesca pelosa, e Gold Medal, una perla di bontà e bellezza dal colore esterno rosso e la polpa gialla. Ancora. La zucca spaghetti dalla buccia di color giallo paglierino la cui polpa, una volta cotta, si sfibra in lunghi filamenti che ricordano appunto gli spaghetti; la tuberina che assomiglia a una conchiglia e ha un sapore che ricorda il carciofo; la zucchina patisson che si conserva per 2 o 3 mesi; il prezzemolo tuberoso coltivato non tanto per le foglie ma per la radice carnosa. Fra le patate a polpa colorata, troviamo la vitelotte con la buccia nera e la polpa di un viola molto scuro, tendente al blu alla cottura. E poi, il cetriolo limone delle dimensioni di una pallina da tennis di colore giallo. «Le varietà di ortaggi coltivate nell’orto dell’agriturismo», spiega Busdraghi, «in generale hanno un gusto ottimo, nettamente superiore a quello delle varietà moderne. Sono però state tolte dal commercio perché non adatte alla coltivazione meccanica e ad altre tecniche colturali, oppure deperiscono in fretta o non inidonee alla trasformazione, specie nel caso del pomodoro».

Da dove provengono tutte le sementi delle varietà coltivate a Poggio Diavolino? «È il frutto di anni di ricerca continua», sottolinea Busdraghi, «e di scambi, viaggi e acquisti online anche dagli Stati Uniti. Il tutto però stando bene attento a quelle che sono le regole per non diffondere malattie e pretendendo perciò il certificato sanitario». Un patrimonio di biodiversità da salvaguardare, ma che ha tante, troppe complicazioni burocratiche. «Per coltivare degli ortaggi occorre che la varietà scelta sia iscritta nell’Elenco nazionale delle sementi. Questo non è possibile per moltissime vecchie varietà perché nessuno ha interesse a registrarle. Succede così che la semente dell’ultima pianta di quella particolare varietà di ortaggio posseduta, per esempio, da un vecchietto», ci spiega amareggiato l’agricoltore livornese, «non si può coltivare e commercializzare perché non iscritta. Ciò complica la conservazione e, a mio avviso, senza un evidente motivo. Ed è per questo che io non posso vendere la semente e le piante del mio orto, ma mi limito a farle conoscere, conservarle in purezza e naturalmente a consumarle sulla mia mensa». Fabiano soffre questa situazione: «A livello europeo e mondiale vi sono diversi movimenti che si battono per la liberalizzazione dello scambio e della coltivazione delle sementi antiche a salvaguardia della biodiversità che altrimenti ne avrebbe conseguenze gravi. Non si tratta di guardare al passato con nostalgia, ma di valorizzare quello che c’è stato tramandato di buono e offrirlo al consumatore d’oggi utilizzando però tecniche di coltivazione appropriate che spesso nemmeno l’agricoltura biologica dispone interamente».

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