Il solito spettro si aggira di nuovo per i corridoi dei palazzi del potere. Difficile dire se sia una concreta eventualità o un ectoplasma: comunque indirizza strategie e determina scelte. Si tratta, va sé, delle elezioni anticipate. A torto o a ragione, circola ampiamente il sospetto che Matteo Renzi miri proprio a far saltare il tavolo e che l’affondo sulla scatola vuota chiamata «art. 18» sia appunto l’apertura ufficiale della campagna elettorale, come sussurrano nelle stanze del Pd al Senato.

Del fatto che la minaccia non sia affatto pura fantasia è soprattutto convinto Giorgio Napolitano. L’intemerata presidenziale di lunedì sembrava una difesa a spada tratta di Renzi, invece lo scudo era a protezione del governo. Sembra la stessa cosa ma non lo è.
Il punto dolente non è tanto la legge delega sul lavoro, ma il capitolo immediatamente successivo, la legge di stabilità. I soldi, semplicemente, non ci sono e Renzi, al momento, un’idea di come trovarli non ce l’ha. Sarebbe già un bel guaio. A renderlo ancora più inquietante, per l’imberbe inquilino di palazzo Chigi, c’è la consapevolezza, del tutto fondata, che nei circoli di potere che contano davvero, dunque non in quelli della politichetta italiana, sono già in corso grandi manovre con l’obiettivo di imporre al Paese il commissariamento della troika. Il principale sponsor dell’operazione ha un nome e un ruolo che più pesanti non si può: Mario Draghi.

I ragionamenti sono semplici e non infondati: l’Italia, con Monti e poi, sia pure in forme meno martirizzanti, con Letta e con lo stesso Renzi ha pagato e sta pagando tutti i prezzi del commissariamento senza tuttavia godere degli scarni vantaggi. In secondo luogo, un commissariamento nel 2015 sarebbe diverso da quello ipotizzato nel 2011. Non è che la troika sia diventata più buona: è che il quadro è mutato e il mostro da sconfiggere, ora, si chiama deflazione. Le politiche dettate dai commissari, con l’imbizzarritissimo debito pubblico italiano, sarebbero comunque pesanti, ma meno di quanto sarebbero state tre anni fa.

Va da sé che il momento per lanciare l’offensiva (se mai arriverà, e non è detto) coinciderà con il rischio di tracollo derivato dal vicolo cieco in cui si dibatte la legge di stabilità. Per il dinamico di palazzo Chigi il commissariamento sarebbe esiziale. Politicamente, una campana a morto. Ma anche solo trovarsi alle prese con l’impossibilità di quadrare i conti dovendo ricorrere apertamente a nuove misure draconiane metterebbe il suo luminoso futuro politico a forte rischio.

Di qui, secondo i moltissimi malpensanti, il rischio che il premier, che quanto a spregiudicatezza non sta messo male, voglia accelerare i tempi cogliendo la prima occasione possibile. Napolitano è sceso in campo a difesa della delega sul lavoro proprio per dribblare in anticipo il possibile casus belli. E’ infatti ovvio che, ove la fiducia si rendesse necessaria e poi passasse con i voti determinanti di Fi, le porte per la crisi e per le elezioni sarebbero spalancate. Per parare la minaccia, re Giorgio ha anche già messo in campo una seconda trincea. Ha avvertito Renzi che lui non potrebbe in ogni caso gestire una nuova fase crisi-elezioni-formazione del governo. A eleggere il nuovo presidente, previa sua abdicazione, sarebbero queste e non le prossime camere.