Fino a che punto può spingersi Giorgio Napolitano per cercare di tenere in piedi il governo Letta, la legislatura, e continuare a sperare in una nuova legge elettorale e persino in uno straccio di riforma costituzionale (senza dimenticare l’amnistia)? Fino al punto di correggersi rispetto all’impostazione data solo due giorni fa, quando dopo l’annuncio del passaggio all’opposizione di Forza Italia e al termine di un incontro con il presidente del Consiglio, il capo dello stato spiegò che l’allontanamento dei forzisti richiedeva sì «la necessità di verificare la sussistenza di una maggioranza a sostegno del governo», ma che bastava per questo il voto di fiducia al senato sulla legge di stabilità.

E invece ieri sera, dopo aver ricevuto al Colle una folta delegazione di Forza Italia con le sue pressanti richieste di crisi formale, il Quirinale ha concesso che «ci sarà senza dubbio un passaggio parlamentare che segni la discontinuità politica tra il governo delle larghe intese e il governo che ha ricevuto la fiducia sulle legge di stabilità». Il vecchio-nuovo governo che Forza Italia, a disdoro degli scissionisti di Alfano, vuole che non si chiami più di «larghe intese» ma di «centrosinistra». Napolitano non arriva al punto di annunciare una crisi formale, potrebbe non esserci un Letta 2. Ma, spiega la nota del suo ufficio stampa, «le forme e i tempi» del passaggio in parlamento saranno oggetto di una consultazione con il premier. Letta salirà al Colle lunedì. A questo punto, però, Napolitano ha ripetuto ai berlusconiani che non scioglierà le camere fino a quando non sarà cambiato il Porcellum. E ha chiesto un impegno per le modifiche alla Costituzione.

Le riforme costituzionali
All’indomani dello strappo con il governo Letta, Forza Italia aveva annunciato l’immediato abbandono del percorso costituente che, lento e contorto, va avanti da giugno senza essere praticamente ancora partito. Al Quirinale Romani e Brunetta si sono mostrati molto meno ultimativi. Far mancare il quorum dei due terzi nell’ultimo voto alla camera (previsto nella settimana che comincia lunedì 9 dicembre) significherebbe avviare la legge istitutiva della «bicameralina» al referendum confermativo. E dunque fermare per sempre la procedura straordinaria che Letta ha messo tra i fondamenti del suo governo già nel discorso programmatico. La tentazione per i berlusconiani di dare un colpo all’esecutivo va però misurata sull’efficacia. Basterebbe a provocare la crisi? Non basterebbe, malgrado la promessa di Letta di dimettersi se le riforme non si fossero fatte in 18 mesi (da aprile). E allora i forzisti, che portano a casa la discontinuità di governo, hanno tutto l’interesse a giocarsi bene la più forte arma di ricatto che hanno ancora in mano. Anche perché far partire la bicameralina non vorrebbe dire di per sé spianare la strada alle riforme. In futuro si potrebbero trovare infiniti modi per bloccarle, e poi ci sono i referendum. La bicameralina sarebbe però una gigantesca boccata d’ossigeno per la legislatura e dunque per il governo. Darebbe a entrambi una ragione di vita. Al punto che il ministro Quagliariello ha già pronto il disegno di legge di revisione «ordinaria» della Costituzione, secondo l’articolo 138, per ridurre almeno i parlamentari e interrompere il bicameralismo paritario. Anche lì, in prospettiva, si porrebbe il problema del quorum e del referendum. Ma intanto Berlusconi può restare nella partita delle riforme, e in cambio non essere escluso da quella assai più urgente e concreta della nuova legge elettorale.

La legge elettorale
Qui è il Pd a potersi fare minaccioso: per cambiare il sistema di voto basta la maggioranza semplice, e un’eventuale intesa nel perimetro di governo tra Pd e alfaniani potrebbe anche fregiarsi dell’etichetta «bipartisan». Sfortuna vuole, dal punto di vista del governo, che Pd e Nuovo centro destra abbiano interessi opposti in materia, com’è ovvio per una formazione che corre per confermarsi primo partito e un gruppo valutato sul 3%. Ieri in commissione al senato il Pd con i grillini, Sel e Scelta civica era in condizione di votare l’ordine del giorno leghista che indica la strada del ritorno al Mattarellum. Invece ha fermato tutto, per lavorare ancora a una soluzione che possa andar bene ad Alfano. Esponendosi così all’accusa di rimandare ancora la scelta, al punto che la materia potrebbe migrare alla camera. E sfiorando il ridicolo di convocare la commissione nella notte precedente al 3 dicembre, quando il Porcellum arriverà davanti alla Corte costituzionale. La toppa potrà trovarla solo Letta, attorno al tavolo del Consiglio dei ministri. Annunciatissimo, sarà un disegno di legge del governo a interpretare le parole della Consulta sulla legge elettorale.