Tra le tante modalità per frenare l’emorragia di vendite, in un cambiamento epocale nella fruizione musicale, l’industria discografica ha trovato un efficace espediente nei box che raccolgono materiale storico di gruppi più o meno noti. Sostanzialmente un modo per rivendere ai fan un prodotto che già possiedono, aggiungendo confezioni curate e intriganti, qualche inedito (non sempre interessantissimo), registrazioni di concerti, alternate take o i famigerati nuovi rimissaggi dell’opera originale. In sostanza la casa discografica ripubblica materiale del proprio repertorio, senza dover investire in studi di registrazione, contratti, produttore, potendo contare su un numero garantito di vendite da parte dei cultori e fan dell’artista in oggetto. È altrettanto vero che queste operazioni sono spesso molto utili per radunare in un solo contenitore intere discografie, talvolta di difficile reperibilità quando si tratta di artisti non famosissimi.

OPINIONI DIVERGENTI
Andando nel dettaglio, il 2022 ci ha riservato una serie di box molto interessanti. Inevitabile partire da quello più discusso e atteso, la riedizione di Revolver dei Beatles (spesso indicato come il loro miglior disco, sicuramente tra i più influenti degli anni Sessanta e della storia del rock). I tre volumi delle compilation Anthology pubblicati tra il 1995 e il 1996 erano nati con l’intento di raccogliere tutti gli inediti, rarità e brani minori dei Fab Four, per chiudere definitivamente l’uscita illegale su bootleg e web.
Ma il nome Beatles è troppo appetitoso e conveniente per lasciarlo ulteriormente in pace. E così da allora non sono mancate uscite di ogni tipo con live e inediti. Purtroppo il figlio del produttore George Martin, il quinto Beatle per eccellenza, Giles Martin ha ritenuto opportuno rimettere mano ai mix originali per, testuali parole, «rendere le canzoni più consone al gusto dei giovani ascoltatori». Le opinioni divergono tra chi accoglie con favore queste modalità operative e chi invece ritiene che non sia il caso ritoccare l’opera originale così come era stata concepita. Nel box deluxe di Revolver c’è sostanzialmente un solo inedito, una struggente iniziale versione di Yellow Submarine, cantata da John Lennon, accompagnato dalla chitarra acustica, lontanissima dalla versione definitiva interpretata da Ringo Starr e diventata poi una canzone per bambini. Per il resto ci sono tante versioni più grezze e immediate, quasi live, dei vari brani dell’album, dove protagoniste sono le chitarre in primo piano, un Paul Mc Cartney che incomincia a sperimentare con il basso, rendendolo sempre più protagonista e un Ringo in stato di grazia con un drumming mai così potente e preciso.
Against the Odds 1974-1982 è un mega cofanetto con 124 brani che documenta il periodo iniziale dei Blondie di Debbie Harry con i primi sei album, ben 36 inediti (di cui alcuni notevoli e molto interessanti come la prima versione della loro maggiore hit, Heart of Glass composta ed eseguita già nel 1974 con il titolo Disco Song ma in chiave reggae/funk e una affascinante Moonlight Drive dei Doors). I fan ne saranno estasiati.
I Redskins hanno marchiato a fuoco gli anni Ottanta militanti, «soul-cialisti», camminato come i Clash, cantato come le Supremes, lasciando poche tracce ma tuttora indelebili. Neither Washington nor Moscow Boxset contiene quattro cd (libretto, foto etc), è presentato con una grafica essenziale e «sovietica» e raccoglie tutto e di più della band di Chris Dean: l’unico album Neither Washington nor Moscow, i singoli, le varie versioni extended, estratti live con partecipazioni eccellenti (Billy Bragg e Jerry Dammers degli Specials), grandi cover come Skinhead Moonstomp, Tracks of My Tears o Back in the Ussr, le Peel Sessions, i primi demo punk ancora con il nome di No Swastikas. Punk, soul, impegno politico, passione, energia, sincera ingenuità/ingenua sincerità, un raggio di sole in mezzo al buio thatcheriano. Che poi vincerà e darà il via a un’epoca oscura che ancora dura, perdura e annienta diritti e speranze di giustizia sociale. Chris Dean e compagni ci avevano avvertito e scagliato l’ultima pietra. Un lavoro essenziale per avere tutto della mitica band. Quattro cd presenti anche in Divine Simmetry che racconta il cammino artistico e sonoro fatto da David Bowie per arrivare all’incisione di uno dei suoi tanti capolavori, Hunky Dory, nel 1971, con ben 48 brani mai sentiti prima, tra demo, inediti, estratti da una John Peel Session, live. Oltre 70 brani che documentano al meglio uno dei periodi più creativi del grande musicista inglese, agli albori del suo incredibile viaggio artistico e che in queste tracce sublima il suo talento cristallino.

ARRIVANO I MOD
Far Horizons rende giustizia al talento di uno dei tastieristi più sottovalutati nella storia del rock, nonostante le collaborazioni eccellenti (da Jimi Hendrix a Rod Stewart e Eric Burdon, tra i tanti): Brian Auger. Di cui vengono raccolti i quattro album (dal 1967 al 1970) dell’esperienza con i Trinity, a fianco dell’incantevole voce della compagna Julie Driscoll, tra jazz, freakbeat, fusion, con il suo Hammond a fare faville. Per gli amanti delle sonorità Sixties, del giro mod, beat e affini, il 2022 ha portato regali a iosa, a partire da Eddie Piller Presents British Mod Sound of the 1960s. Eddie Piller è stato fondatore della Acid Jazz, scopritore di talenti (dal James Taylor Quartet ai Jamiroquai) e grande cultore della scena mod degli anni Sessanta. Cento brani suddivisi in quattro cd che spaziano dai nomi classici come Who, Small Faces e Kinks ma scavano anche nel profondo, ritrovando i primi (incerti) passi di Elton John con i Bluesology, del futuro leader dei Motörhead, Lemmy, con i Rockin Vickers, di David Jones, poi diventato Bowie, gli Spectres del futuro Status Quo Francis Rossi, gli Episode Six di Gillan e Glover poi nei Deep Purple. Il tutto corredato da accuratissime note. Medesimo procedimento nei tre cd di I Love to See You Strut, tra grandi nomi e oscure meteore, sempre nei Sessanta inglesi. Che vengono scandagliati anche nello stupendo Gotta Get a Good Thing-The Music of Black Britain in the Sixties. Ovverosia, attraverso 115 brani in quattro cd, un documento sulla scena parallela al beat dell’epoca, composta da musicisti neri, immigrati dalle West Indies o dall’Africa. Che ci deliziano con blues, soul, r’n’b ma anche rocksteady e ska, oltre ad altre sonorità più particolari (dalla psichedelia al pop orchestrale). Nomi come Geno Washington, Ronnie Jones, un giovanissimo Jimmy Cliff o Ambrose Campell & The All Stars alle prese con una versione ska di Hey Jude dei Beatles, sono una garanzia.
E infine due preziosi riassunti di discografie complesse, di difficile reperibilità ma ammantate di un grande fascino, pur nella loro urgenza un po’ naif. Stiamo parlando di due gruppi che hanno lasciato scarse tracce, dopo una frenetica attività negli anni Ottanta. I Times, guidati da Edward Ball, suonavano un pop beat, figlio dei Sessanta ma, ai tempi, molto moderno e personale. Realizzarono parecchi album, prima di scomparire nel nulla. In My Picture Gallery, in sei cd, ci sono altrettanti lavori, pubblicati tra il 1981 e il 1986 e una lunga lista di inediti e rarità. Gruppo da riscoprire. Sarebbero finiti nell’oblio totale se nei Biff Bang Pow! non avesse militato Alan McGee, di lì a poco fondatore della Creation Records che portò al successo Oasis, Jesus and Mary Chain, Libertines. A Better Life è un box di sei cd con tutto l’immaginabile sulla band, dai sei album, ai live, agli inediti ai singoli ormai perduti, in mezzo a pop, beat, psichedelia. Niente di indimenticabile ma un tassello interessante della Londra neo beat degli anni Ottanta.