Il nuovo codice antimafia arriverà al voto stamattina al Senato. L’approvazione è molto incerta. La sorte del provvedimento, se uscirà incolume dal voto di palazzo Madama, è invece segnata. Le probabilità che venga varato in via definitiva nel corso di questa legislatura sono pari a zero.

Il rischio di una clamorosa bocciatura in aula si è profilato ieri mattina, quando la capogruppo di Ap Bianconi ha annunciato la libertà di voto per i senatori del suo gruppo. La presidente centrista ha usato toni severi contro tutti quei parlamentari che si sono svegliati all’ultimo momento, dopo non aver detto una parola negli oltre 18 mesi passati dall’approvazione della Camera, alla fine del 2015. Però di fronte alla ribellione dei suoi senatori non ha potuto fare altro che concedere la libertà di voto. Il colpo di grazia è poi arrivato quando M5S, come anticipato dal capogruppo alla Camera Fico, si è schierato a sua volta per il no, anche se per motivi opposti. Considera infatti il nuovo codice ancora troppo lieve.

Il leader di Ap, il ministro Alfano, aveva del resto insistito per la libertà di voto e infatti è stato il primo ad applaudirla, aggiungendo che il codice sarà certamente modificato nel terzo passaggio alla camera: «Benissimo. Così i molti di noi che non condividono il testo potranno in tranquillità non votarlo. Alla Camera chiederemo robusti cambiamenti». Praticamente la stessa cosa aveva detto il presidente del Pd Orfini. Un’estrema unzione.

L’aula del Senato, nonostante gli scricchiolii, ha scelto di andare avanti lo stesso bocciando la richiesta di ritorno in commissione avanzata dal leader di Idea Quagliariello. «Per non avere il buon senso di correggere la legge si rischia di affossarla per oggettiva mancanza dei tempi necessari», ha commentato Quagliariello e a rigor di calendario ha ragione. Con i centristi e lo stesso Pd decisi a modificare ulteriormente il codice a Montecitorio sarà obbligatorio un nuovo passaggio al Senato. A pochi mesi dalla fine della legislatura farcela è quasi impossibile. Del resto l’aria che tirava era comunque questa già da qualche giorno: licenziare la legge al Senato, per evitare le accuse di mollezza con i corrotti, e poi aggirare le polemiche evitando di portarla al voto della Camera.

Inutilmente, dunque, ieri mattina la presidente dell’Antimafia Rosi Bindi era scesa in campo di nuovo, invocando l’approvazione della legge necessaria per riutilizzare quei 25 miliardi di beni confiscati ai mafiosi. Su questo punto tutti sarebbero in realtà d’accordo. A provocare il disastro, perché di questo si è trattato, è stata la decisione di allargare la confisca preventiva dei beni agli accusati di reati contro la pubblica amministrazione. Un ampliamento bersagliato da tali e tante voci non sospettabili di simpatia per i corrotti – da Cassese a Cantone, da Violante a Flick sino al primo presidente della Cassazione Canzio e all’avvocato generale della stessa Nello Rossi, che si sono aggiunti ieri al coro – da affondare di fatto il testo.

Per completare l’opera, ieri il presidente della commissione Bilancio Tonini ha dovuto riconoscere la fondatezza della critiche rivolte alle coperture accertate dalla commissione stessa. E’ stata di conseguenza necessaria una lunga sospensione che ha imposto lo slittamento del voto finale e ha reso impossibile l’avvio questa settimana della discussione sullo ius soli. Se ne parlerà la settimana prossima. Oggi invece si scoprirà se il nuovo codice antimafia, pur destinato comunque al macero, salverà almeno la faccia con un’approvazione di misura al Senato.