La storia di «Gentile il censore» rischia di essere la prima buccia di banana su cui il governo Renzi può scivolare. Il neo sottosegretario alle infrastrutture, Tonino Gentile, è sulla graticola. Lo attaccano da tutti i fronti. La bufera rischia di spazzarlo via. E «il cinghiale», come minacciosamente Umberto De Rose, stampatore de L’Ora della Calabria, nonché ex presidente di Confindustria Calabria e attuale numero uno di Fincalabra, lo aveva definito al telefono con l’editore del giornale Alfredo Citrigno, ricordandogli che «quando viene ferito, ammazza tutti», rischia di stramazzare al suolo.

Solo gli alfaniani, suoi amici di partito, lo difendono. Ma sono imbarazzati pure loro. Per il resto è un fuoco di fila. Tra i primi a bacchettare Renzi per la nomina di Gentile c’è l’ex candidato alla segreteria regionale del Pd Massimo Canale, che esprime «vicinanza e solidarietà» ai giornalisti dell’Ora, e che critica «una censura non completamente riuscita solo grazie all’ausilio di internet». A ruota arriva la reazione del neosegretario regionale del Pd, Ernesto Magorno, renziano doc, secondo cui «è stato un errore, grave, da parte del Nuovo centrodestra dare l’indicazione del nome del senatore Gentile a sottosegretario. Una scelta che il Pd calabrese, unitariamente, non condivide e che chiede sia rivista». Al coro degli indignati si unisce poi l’ex commissario regionale del Pd, il bersaniano D’Attorre, secondo cui la nomina del senatore cosentino non è «edificante», ma anzi «inopportuna». D’Attorre, si augura che Renzi e il partito di Alfano spingano Gentile a rassegnare le dimissioni. Anche Giuseppe Giulietti, di Articolo 21, protesta e parla di «nomina vergognosa». Il direttore de L’Ora della Calabria, Luciano Regolo, ha scritto nell’editoriale che «la nomina del senatore cosentino a sottosegretario svela il vero volto di Renzi che, con la sua aria da ragazzotto per bene, non è che un bluff. Evidentemente tutti a Roma considerano la nostra regione come un mero serbatoio di voti e la censura un peccato veniale».

Insomma, per essere il primo giorno da sottosegretario, non è stato memorabile, anzi. La procura di Cosenza vuol vederci chiaro nella storia della censura, ha già ascoltato il direttore dell’Ora e non è escluso che decida di ascoltare anche il sottosegretario. Più in generale l’iscrizione nel registro degli indagati di Andrea Gentile, avvocato dell’Asp di Cosenza, e figlio del sottosegretario, per abuso d’ufficio, falso ideologico e associazione a delinquere è solo la punta dell’iceberg della sanitopoli cosentina, un affresco esemplare del potere gentiliano in città. Un impasto di transazioni sospette, incarichi esterni, affidamenti diretti, consulenze milionarie. Al quale non è estranea l’ombra della ’ndrangheta. Tanto da far approdare in riva al Crati la Commissione d’accesso antimafia negli uffici della sanità cosentina a caccia di infiltrazioni criminali.

Allora l’Asp non fu sciolta, perché il Viminale, guidato da Alfano, guarda caso, disse che non c’erano elementi per farlo. Ma gli inquirenti insistono e setacciano l’Asp palmo a palmo. L’intenzione è quella di perlustrare a fondo tutta l’attività amministrativa, con un’attenzione particolare rivolta all’utilizzo delle risorse economiche: acquisti di beni e servizi, consulenze, prebende e altro ancora. Sarà passato al setaccio tutto ciò che ha comportato un impegno di spesa da parte dell’Azienda, guidata nell’ultimo triennio dal manager Gianfranco Scarpelli, padre padrone della sanità bruzia e gentiliano di ferro. A far da bussola per gli investigatori, è la relazione della Commissione d’accesso, insediatasi a metà del 2013. In tre anni l’Asp di Cosenza ha speso più di 4 milioni e mezzo in consulenze esterne. Nei fascicolo inviato al prefetto di Cosenza i commissari segnalavano anomalie in alcuni appalti e soprattutto la presenza di personaggi vicini, e in certi casi organici, ai clan nei presidi sanitari di Paola e Cetraro. Nelle 400 pagine sottoscritte dal pool di prefetti, però, ampio spazio era dedicato anche alla situazione di «caos amministrativo» in cui versava l’Asp.

Ed è proprio lì, in quel labirinto di delibere aziendali, reso ancora più impenetrabile dall’assenza di codici e regolamenti interni, che gli investigatori cercheranno ora di mettere ordine per venire a capo dell’enigma.